di Maria Rosa Giannalia
Pensare di
leggere questo lungo racconto di Dickens per tranne diletto o
edificazione, credo che sia alquanto fuorviante per una lettrice o lettore di
oggi, poiché il testo, datato al 1863, anno della sua pubblicazione nella
rivista All the year round, aveva
tutte le caratteristiche per piacere ad un pubblico ben definito , londinese,
vittoriano e tardo romantico, caratteristiche che non tardarono a determinarne
il grande successo: i temi e i topoi presenti erano proprio quelli che quel
pubblico non solo era in grado di apprezzare , ma soprattutto in cui rispecchiarsi,
almeno in quanto ad aspirazione ideale, visto che la realtà vittoriana di
Londra e forse dell’Inghilterra tutta era di ben altra prosaica
caratura.
Il racconto è uno degli ultimi scritti di Dickens ed è un
racconto di cornice, vale a dire una narrazione destinata ad accogliere al suo
interno altre narrazioni ad opera di altri collaboratori dello stesso autore
che dirigeva la rivista succitata nella quale apparve, come detto, nel 1863.
La cornice è
abbastanza esile: una donna anziana si rivolge ad una interlocutrice muta con
la quale intesse un monologo per raccontare la sua esperienza di un lungo
segmento di vita che va dalla sua vedovanza improvvisa fino all’atto conclusivo
della sua narrazione edificante e ( molto) auto celebrativa. La
signora Lirriper , morto il marito e priva totalmente di mezzi, si inventa
imprenditrice, chiede un prestito ad una banca di Londra col patto che
restituirà fino all’ultimo centesimo del debito contratto dal marito con
la medesima banca. Debito che onora esercitando ininterrottamente il mestiere
di locandiera per quasi quarant’anni. E tutto ciò che vede ed esperisce in
questi lunghi anni saranno materia del suo lungo
monologo nei confronti della sua silenziosa amica con la quale, si presume, la
protagonista abbia molta familiarità.
All’interno di questa
cornice si inseriscono delle micro-storie che , sempre la protagonista
imbastisce sulle persone che transitano nella sua pensione, tra le quali si
notano un maggiore Jeremy Jackman che diverrà il
pensionante prediletto della signora Lirriper dal quale quest’ultima si lascerà
accompagnare lungo il corso della sua vita coinvolgendolo nell’itinerario
educativo dell’orfano di una ragazza sedotta e abbandonata dal suo uomo
proprio nella sua pensione.
La ragazza morirà dopo
poco tempo dal parto, come nei migliori romanzi di appendice del secondo
ottocento europeo.
Descritto così, il
racconto non sembrerebbe discostarsi di molto dai numerosi topoi letterari
della narrativa sopra citata ma, al contrario, parrebbe rientrare nella norma
dei feuilleton tanto in voga tra la borghesia europea dell’ottocento.
Invece, a ben guardare, il testo in questione riserva
parecchie sorprese: prima tra tutte la struttura narrativa dell’opera. Dickens
attinge a piene mani dalla scrittura di un suo predecessore del settecento ,
l’inglese di origine irlandese Laurence Sterne nel suo Vita
e opere di Tristam Shandy, gentiluomo:
scrittura brillante, dinamica, ironica e molto molto innovativa nei modi e nei
contenuti.
L’azione emulativa
che compie Dickens però, va molto oltre: alla scrittura dissacrante di Sterne
egli accosta una materia tutta ottocentesca, un po’ lacrimevole, ma giusto quel
tanto che serve per esercitare la sua ironia che trova più ampio spazio laddove
egli può descrivere alcuni personaggi minori, uomini e donne , evidenziandone
le caratteristiche più “nascoste” del conformismo vittoriano, attento ai buoni
sentimenti e ai costumi irreprensibili ma con un occhio particolarmente
sensibile al denaro e agli affari, come è nella natura della stessa
protagonista signora Lirriper.
Questa anziana
signora, costruita da Dickens, narra in prima persona ed è il modo che
evidentemente dà al suo creatore la possibilità di esprimersi in una modalità
di estraniamento tutto al femminile. Espediente, questo, che gli consente di
esercitare quella forma retorica che gli è più congeniale, vale a dire l’ironia
leggera e penetrante nello stesso tempo.
E’ molto
interessante come, proprio in un testo così breve, l’autore sappia allontanarsi
da molta parte dei topoi praticati negli altri suoi romanzi a favore,
viceversa, di una leggerezza di modi narrativi poco praticati anche nella
letteratura a lui contemporanea. In questo continuo flusso di parole al
femminile, in questo gusto della chiacchiera, del gossip, la signora Lirriper
sembra preconizzare la prosa di Virginia Woolf piuttosto che il flusso di
coscienza di Joyce, come viene detto nella prefazione al racconto.
Degna di nota mi
sembra anche l’ottica attraverso la quale la protagonista mette a confronto l’industriosità della
gente di Londra con la spensieratezza dei parigini che lei
ha modo di conoscere durante un viaggio in Francia per andare a impossessarsi
di una inattesa quanto inconsistente eredità. Anche
questo un modo elegantemente ironico per sottolineare l’inanità dei francesi.
E questo topos dell’eredità altro
non è che un ulteriore espediente narrativo che
permetterà alla protagonista di autocelebrarsi evidenziando la sua bontà nel
concedere il perdono al seduttore della fanciulla che lei aveva preso a cuore ,
madre del piccolo Jemmy, da lei amorevolmente
allevato. Seduttore che i lettori potranno ritrovare giustamente punito, per la
sua orribile colpa, con la malattia e la povertà. Come il pubblico vittoriano si
aspettava che avvenisse per essere rassicurato e
confortato dalla pubblica morale anche se non assolto dai vizi privati.