E’
piacevole alzarsi al mattino con il suono della radio-sveglia e farsi
accompagnare dal programma preferito nel corso della prima colazione. E’ un
modo per iniziare bene la giornata, riconciliarsi col mondo, e, a seconda delle
preferenze di ciascuno, rilassarsi o ricaricarsi per affrontare una nuova
giornata di lavoro.
Noi
donne in particolare abbiamo bisogno di questa mezzora di solitudine mattutina
( a giudicare anche dalle mie amiche che condividono questa pratica) per raccogliere
idee buone da spendere nel corso delle giornate che non lasciano un attimo di
respiro, tra tutte le incombenze pragmatiche alle quali l’abitudine non è ancora
riuscita a togliere quella patina di pesantezza che tutti a casa, figli e
soprattutto marito, si sospettano neppure. Che le donne siano multitasking ormai
è un fatto assodato, lo scrivono persino nei settimanali a un euro, tanto che
conosciamo perfettamente il significato della parola, come , viceversa, non
potremmo giurare di conoscere il corrispettivo
italiano. Siamo sommersi da badilate di spending rewiev, twitter, post,
scannering, trendy, hair style, bag, coffee, meeting, piercing, facebook… e ci aggiriamo
tra queste parole con la sicurezza baldanzosa e l’orgoglio di chi sa di essere
parte di una comunità mediatica che si autosostiene e si autogratifica nel
gruppo perché nel gruppo si identifica e dal gruppo prende ispirazione. E questo ci rassicura. Molto. Ognuno certo ha
i suoi gusti, ma la radio offre trasmissioni per tutti i palati specie quelli
più forti. Un po’ meno per quelli più , diciamo, esigenti.
Ma c’è una cosa che
è veramente democratica, assolutamente egualitaria, indifferenziata e nella sua
banalità, addirittura sublime: la pubblicità.
Fanno
impazzire gli stacchi pubblicitari che durano più delle trasmissioni. Spesso
non si capisce se è la pubblicità ad intervallare le trasmissioni o sono le
trasmissioni che fanno da stacco alle varie pubblicità.
Tra queste ultime ce
n’è una che veramente mi colpisce ogni mattina per l’ineffabile
pregnanza delle parole utilizzate coraggiosamente in controtendenza. Sono tutte
parole della nostra lingua madre e tutte di alto
spessore semantico.
Alle
otto del mattino , nella pubblicità radiofonica, questa è la conversazione tra due (si presume)
sposi o compagni di vita:
Lei:
“ Freddo, freddo, freddo!”
Lui: “ Dammi cinque minuti!”
Lei: “ Fame, fame, fame!”
Lui: “Dammi cinque minuti”
E
qui segue il disvelamento del nome del prodotto in grado di soddisfare in cinque
minuti le estreme esigenze della signora (trattasi di un forno a legna ad uso
domestico in grado di preparare le pizze in cinque minuti, appunto). E infine ,
veramente sublime, la chiusa:
Lei: (con voce seducente) “E adesso ce l’hai
cinque minuti per me?”
Ovviamente
non conosceremo mai la risposta di lui che si presume possa andare
dall’accoglimento della proposta con ribaltamento immediato di forno
e pizza, al disdegno più totale, vista magari la fatica da superman autoimpostasi
per accendere il fuoco, impastare la farina, mettere il condimento per la pizza,
infornare, servire, tutto nel tempo record di cinque minuti. Appunto. Rimane
però il messaggio evocato dal sottotesto:
se ti mostri in grado di procurarmi caldo e cibo in tempo record, io ti
concederò tutte le mie grazie per tutto il tempo che ci vuole.
Quale
immaginario stimola questa pubblicità? La donna-principessa lobotomizzata che si deve curare
solo di piacere al suo principe il quale è in grado di soddisfare tutti i
desideri. E per fare consolidare ancor meglio questo concetto, qui non si usano
più le parole inglesi che fanno tanto trendy, ma quelle del vocabolario-base
della lingua madre. Così, tanto per essere sicuri che il messaggio passi per
benino e trascorra senza intoppi attraverso tutte le intelligenze. Un minimo
comune denominatore sociale.
Democratico,
appunto.
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