giovedì 25 gennaio 2018

'A Truvatura – Settima e ultima puntata



di Giuseppe Perricone




A lungo andare, vedendo aggravarsi sempre più le condizioni di salute della figlia senza che il marito, a parte le cure mediche, si decidesse a prendere uno qualunque dei provvedimenti da lei sperati, cominciò ad odiarlo. Non gli confidò più le sue paure, tanto sapeva che era tutto tempo perso. Lo conosceva bene.
   Per circa sei mesi ancora continuarono quei ritrovamenti, poi cessarono. Naturalmente Don Gaetano continuò a cercare ancora per qualche altro mese, fin quando anche lui dovette arrendersi all'evidenza: il bottino dei briganti si era esaurito. Donna Agatina invece affermava che ad esaurirsi, invece, era stata la Truvatura.                         
   A seguito di tutti quei ritrovamenti Don Gaetano, in pochis­simo tempo divenne uno dei più ricchi abitanti del paese. Le ricchezze accumulate e gli immobili che queste gli avevano consentito di acquistare, avrebbero consentito di vivere di rendita ad almeno tre generazioni di Arcoleo. Ma lui non era uomo da restarsene con le mani in mano. Infatti, intraprese l'attività di sensale e si diede al commercio.
   Anche in queste nuove attività tutto procedeva a gonfie vele. Non sbagliava mai un affare. La gente cominciò a rivolgersi a lui e a consultarsi con lui per i propri negoziati, e lui dietro compenso di una adeguata percentuale dispensava loro i suoi consigli. Un consulente finanziario ante litteram. Unico cruccio di Don Gaetano era la salute della sua piccola Adelina. Infatti, la bambina era ormai allo stremo. Il medico era divenuto un abituale frequentatore di casa Arcoleo. Prima veniva soltanto quando richiesto, ma quando queste chiamate divennero quotidiane, egli stesso decise di passare ogni giorno a visitare la piccola. Ma, la bimba continuava a essere inappetente e nulla potevano le continue cure ricostituenti.
   Negli ultimi tempi si rese necessario far venire i migliori specialisti da Palermo, nessuno dei quali seppe diagnosticare con precisione la malattia di Adelina. Tutti erano concordi sul fatto che la bambina stesse letteralmente morendo di fame. Intanto i genitori assicuravano che non le facevano mancare niente, che il cibo che le portavano a letto lei lo mangiava anche se malvolen­tieri. Si, é vero che spesso, quando si recavano a ritirare il piatto nella stanzetta, vi trovavano ancora del cibo che la bimba non riusciva a mandare giù, ma in linea di massima lo trovavano vuoto.
   Sentendo ciò uno degli specialisti narrò di un altro caso simile che gli era capitato. Lì si era trattato di una giovane che in seguito ad una delusione sentimentale, rifiutava il cibo e per non far capire niente ai familiari, di nascosto, lo buttava nel bagno. Ma, chiamato in tempo, egli era riuscito a scoprire il sotterfugio e a salvare la ragazza costringendola a mangiare guardata a vista dai suoi, il tutto coadiuvato da appropriate cure ricostituenti. Chissà, poteva darsi che anche questa pazien­te nascondeva il cibo, visto che solitamente mangiava da sola. Ma per quale motivo? Era impensabile che una bambina di otto anni avesse subìto una delusione sentimentale. Forse non voleva più vivere in un mondo dove per la sua infermità era considerata diversa e dove lei stessa si considerava di nessuna utilità, specialmente in una famiglia come la sua dove ognuno dei compo­nenti, in un modo o nell'altro, si dava da fare per gli altri.
   - Ah... Se mi aveste consultato prima! - sospirò lo specia­lista - Avremmo almeno appurato la fondatezza della mia ipotesi. Ora, se anche riuscissimo ad avere conferma di quanto ho ipotiz­zato, sono fermamente convinto che, purtroppo, ormai ci sia ben poco da fare.
   Questo fu il responso che Don Gaetano si ebbe da quella consultazione. Ne fu costernato. Da quel giorno Adelina non mangiò più da sola. Il cibo le veniva fatto ingoiare quasi a forza, ma era tutto inutile perché lo vomitava subito dopo.
   Un giorno che era rimasta sola in casa con Adelina, Donna Agatina mandò a chiamare 'u Zù Vicé[1], un uomo sulla sessanti­na che aveva fama di possedere delle facoltà medianiche ed era perciò in grado di scoprire eventuali "presenze" malefiche e cacciarle.
   Quando l'uomo arrivò in casa degli Arcoleo, non appena ebbe varcato l'uscio della stanzetta della piccola malata, fu preso da una specie svenimento, almeno così disse poi, ma subito ripresosi scappò via gridando che quella stanza era infestata da Spirdi maligni contro i quali lui non poteva nulla e che la bambina era ormai condannata.
   - Guai a voi che li avete disturbati! - gridò - Vi é pia­ciuto arricchirvi con la Truvatura? Ora ne pagate il pegno.
   Detto questo 'u Zù Vicé fuggì via.
   Fino a quel momento Donna Agatina aveva sempre sperato che avesse ragione il marito nel giudicare le sue paure soltanto delle sciocche superstizioni, ma ora aveva avuto purtroppo con­ferma dei propri sospetti.
   Era da pochissimo uscito 'u Zù Vicé, quando rientrò Don Gaetano. La Donna gridando al suo indirizzo vitupèri e ingiurie, prese a colpirlo con pugni e schiaffi.
   Sentendo questo strepito, i vicini accorsero e convinsero Don Gaetano ad uscire chè ci avrebbero pensato loro, le donne, a calmare Donna Agatina che intanto continuava ad accusare il marito di star causando la morte della figlioletta.
   Quando le vicine riuscirono finalmente ad acquietarla fecero rientrare Don Gaetano e solo dopo che anche gli altri figli furono rientrati si decisero a lasciarli.   
   Donna Agatina raccontò ai familiari della venuta dello Zù Vicé e di cosa questi avesse scoperto.
   Don Gaetano le fece terminare il racconto, poi con calma espresse la sua opinione in proposito:
   - In primis - disse - io ho sempre considerato 'u Zù Vicé un ciarlatano, che sfrutta l'ignoranza della gente come te per campare. In­fatti, che lavoro fa? Nessuno. Secondo: chi, in paese, da quando siamo in questa casa e la fortuna ha cominciato a sorriderci, non ha attribuito ciò alla Truvatura? Perciò non c'é da meravigliar­si delle affermazioni di quell'imbroglione. Ha soltanto ripetuto quello che pensano tutti. E poi, secondo voi, le preoccupazioni di Mastro Gaspare, che per me rimangono soltanto sue impressioni, non hanno contribuito al diffondersi di questa diceria? 'A Truvatura… i Spirdi… tutte fesserie. Voi avete mai visto Spirdi qui dentro? No! Quanto abbiamo trovato non lo abbiamo trovato dentro casa, ma fuori, in campagna. E lì, in quella zona, in tempi passati imperversava una banda di briganti e il tesoro che noi abbiamo trovato apparteneva a loro che per nostra fortuna non ci sono più.
   - Parliamo ora della salute di Adelina. -  continuò, ma questa volta con la voce un pò incrinata dall'emozione che le procurava il dover parlare della figlioletta.
   - Lo sappiamo tutti che Adelina é stata sempre così malatic­cia. La colpa non é di nessuno. Ora, chissà cosa le passa per la testa, ha deciso che non vuole più mangiare. Avete sentito cosa ha detto il Dottore venuto da Palermo? Si sarà convinta che é solo di peso a tutti noi e vuole liberarci. Magari é convinta di farci del bene. Ma io non mi arrendo. Vediamo come va ora che la controlliamo quando mangia; se dovesse continuare a peggiorare, la porto in Continente, chè là ci sono gli scienziati che fanno resuscitare pure i morti!
   Aveva finito appena di pronunciare quest'ultima frase, quan­do udirono le grida di Concetta, la figlia maggiore, dalla stanza della sorellina, dove si era recata per controllare se stesse riposando: - Papà ... Mamma ... Correte! Adelina ... Adelina forse é morta!
   Come un solo uomo si precipitarono tutti nella stanzetta della bambina e, purtroppo, con sgomento appurarono che Adelina non dava più alcun segno di vita.
   - Bartolo! - chiamò Don Gaetano, con voce rotta dall'emo­zione - Vai a chiamare subito il dottore, corri! - poi, rivolgen­dosi alla moglie, che aveva incominciato a gridare il proprio dolore, e ai figli, intimò loro di mantenere la calma chè, forse, Adelina era soltanto svenuta. Ma il tono della sua voce era quello di chi è già lui stesso il primo a dubitare di quanto va affermando.
   Ma Adelina era proprio morta! Tutto era ormai compiuto.
   Venuto il medico, non potè fare altro che constatare l'avve­nuto decesso della bambina. A questo punto Donna Agatina fu presa da una crisi isterica. Si sca­gliò contro il marito, con furore e rabbia più veemente di prima. Era come spiritata. A nulla valsero le implorazioni dei figli né la loro intercessione affinché si calmasse e smettesse di colpire il marito, il quale, come inebetito, non faceva niente per ripararsi da quei colpi. Quando, finalmente i figli riuscirono a bloccarla, la donna cadde svenuta fra le loro braccia.
   Donna Agatina da quel giorno non rivolse più la parola al marito e si chiuse in un mutismo da cui usciva soltanto per "par­lare" con la sua Adelina che la sua mente, ormai andata, non volle mai credere morta.
   Ma la sorte di Don Gaetano non fu migliore di quella della moglie.
   Da quel giorno infatti fu tormentato dal dubbio e dai rimorsi che si portò dietro fino alla fine dei suoi giorni. La gente in paese disse che quella era la sua condanna: vivere a lungo (era quasi centenario quando morì) e tormentato dai suoi sensi di colpa. Sì, sua moglie aveva avuto ragione fin dal primo momento, pensava. Ma come poteva minimamente immaginare quello che sarebbe accaduto? Si giustificava adducendo a scusante il fatto che non aveva mai creduto a tutte quelle storie frutto della fantasia popolare e perciò non poteva prevedere quello che sarebbe succes­so. Ma era vero?
   Aveva sfidato il soprannaturale ed era stato sconfitto. Ma sarebbe stato più giusto che a pagare per le sue colpe, per la sua incoscienza, fosse soltanto lui e non la figlioletta innocente da ogni colpa. ... La sua incoscienza ... Fino a che punto aveva potuto considerare incoscienza il suo modo di agire? Perché dopo i primi ritrovamenti aveva preferito comprare la casa invece del terreno? Non era stato perché in fondo anche lui era convinto che tutto aveva avuto inizio proprio da lì, da quella casa? Che continuan­do ad abitarla, in qualunque altro luogo avesse condotto i suoi scavi avrebbe trovato ugualmente i suoi tesori? Ecco perché l'acquisto della casa era stato prioritario. Tutto il resto sarebbe stato consequenziale.  E quando Mastro Gaspare lo mise in guardia sui pericoli che la sua Adelina avrebbe potuto correre in quella stanzetta, perché riservò alla bimba proprio quella?               
   Se fino a quel momento l'aveva fatto, ora Don Gaetano non poteva più continuare ad ingannare la propria coscienza con falsi alibi, ora che la sua bambina era morta. Aveva sacrificato la sua prediletta, la sua adorata Adeli­na, per il proprio tornaconto, così come le popolazioni primitive, nei loro riti pagani, sacrificavano vittime umane per assicurarsi il favore delle loro sanguinarie Divinità e ottenerne benessere per tutta la tribù.
   La casa degli Arcoleo, nel giorno del funerale della bambi­na, fu invasa dai vicini. Quanto si mormorava in paese sui motivi che avevano portato la bimba alla tomba, aveva commosso i paesani, la cui piètas era palese sui volti di tutti. Anche Mastro Gaspare Lo Monaco con i due figli più grandi era presente. Anzi, come uno della famiglia, rimase per tutto il giorno seduto alle spalle di Don Gaetano al capezzale di Adelina che giaceva sul suo piccolo letto di morte al centro della stanza, col volto pervaso da una serafica serenità che in vita forse non aveva mai avuto.
   Quando la morticina fu deposta nella piccola bara bianca, si creò all'interno di quella stanza un certo movimento, tanto che Mastro Gaspare coi figli, per creare più spazio, indietreggiando finì per ritrovarsi nella camera successiva, quella che sia lui che Don Gaetano avevano adibito a camera da letto. Nella penombra i suoi occhi andarono ad una piccola vetrinetta, al centro della quale, su uno scaffale di vetro, faceva mostra di sé una scarpina da donna. Una scarpina da donna tutta d'oro.

F I N E




[1]  Il Sig. Vincenzo. (“Zù” sta per zio in segno di rispetto)

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