venerdì 2 maggio 2025

 

 

 

 

Il tempo materiale

di Giorgio Vasta

Ed. Minimum fax 2008

 

di Maria Rosa Giannalia

 

Il libro che vi propongo questo mese, non è recentissimo. E’ un romanzo scritto da Giorgio Vasta, scrittore palermitano, dal titolo  Il tempo materiale pubblicato da Minimum fax nel 2008.

L’autore con questa sua opera prima ha vinto nel 2010 il premio città di Viagrande e nel 2011 il Prix Ulysse du Premier Roman.

In una Palermo, nel sud isolano e isolato, tre ragazzini, appartenenti alla buona borghesia cittadina che abita i nuovi quartieri costruiti in seguito al sacco della città ad opera degli imprenditori mafiosi con il beneplacito dei politici collusi, si persuadono all’emulazione delle Brigate Rosse sull’onda dell’ideologia veicolata dal linguaggio dei proclami e manifesti. I tre ragazzini, appena adolescenti, che si danno dei nomi di fantasia: Nimbo, Scarmiglia e Bocca, organizzano  sequestri nell’unico ambito per essi possibile: la scuola, per impratichirsi nelle modalità della rivoluzione politica del mondo che verrà, un mondo nuovo emendato da tutte le ingiustizie sociali, così come all’epoca i manifesti dei brigatisti facevano intravedere.

La lingua usata dai terroristi è il leit-motif che attraversa tutto il romanzo, un linguaggio affascinante e allucinato che su, Scarmiglia, il capo dei tre amici ha un effetto dirompente.

Duro, preciso, terribile e tenero nello stesso tempo, è questo libro di esordio di Giorgio Vasta. Più che d'esordio sembra un romanzo di un autore che abbia già avuto grande dimestichezza con la parola e quindi autore di lungo corso. Vasta riesce in questo romanzo a narrare con un linguaggio accurato e affilatissimo la storia innocente e terribile dei tre ragazzini, una storia nella Palermo del '78 al tempo del sequestro Moro e dell'impazzare delle brigate rosse con i loro proclami e con un nuovo linguaggio. Quel linguaggio che ebbe, in quel periodo, vastissima eco tale da connotare per la prima volta la lingua giovanile di quegli anni attestatasi su un registro aulico, letterario e forzatamente preciso per significare le nuove logiche politiche della "rivoluzione" ideologica.

 

“…immobile, soltanto sensoriale, riuscire a guarire dall’infezione delle parole. Perché ho capito che mentre il compagno Volo lavorava per diventare prigioniero politico, io ho lavorato per potermi dichiarare, adesso, prigioniero mitopoietico. Solo questo. Il piacere di stare nelle frasi. La fatica. La paura di uscire dalle frasi. Per un anno ho fabbricato linguaggio – proclamare, enfatizzare, minacciare – e l’ho attraversato un passo alla volta, una parola dopo l’altra, fino ad arrivare qui, ora, quasi le sette di sera del 21 dicembre 1978, a fare l’eversore dell’eversione. Mi guardo ancora alle spalle; la strada vuota.”

La novità è che proprio attraverso questo linguaggio, l'autore descrive l'ansia e le aspirazioni dei tre ragazzini palermitani fornendo uno spaccato di vita e di differenze sociali della città di Palermo che, nel libro, si sostanziano nella lingua utilizzata, nella dicotomia, cioè, tra lingua italiana e dialetto.

Una lingua che corre nel testo, svelle e divora, racconta la rabbia e la trasformazione. I brigatisti sono sempre accesi, sempre apocalittici. Scrivono «lotta attiva», scrivono «disarticolare le strutture». Sono oracolari. I padri del deserto hanno lasciato le distese di sabbia della Palestina e sono venuti in città, nelle università e nelle fabbriche, a raccontare, a testimoniare, a predire e a maledire.

Ne consegue una visione tragica del mondo, ideologizzata, irreale e, a tratti, onirica ma che, credo, si debba leggere come una grande metafora di ciò che cambia e di ciò che resta nel mondo e difficile da esprimere: la materialità della parola. Importante notare come la parola infezione ricorra molte volte nel corso di tutta la narrazione ma specialmente nella parte iniziale, dove il termine va palesemente a significare ciò che etimologicamente indica in senso figurato: azione diffusa e minacciosa a danno dell'integrità individuale e sociale ( Devoto-Oli Dizionario della lingua italiana).

Perchè proprio di questo si tratta: l'ideologia delle Brigate Rosse si diffonde e permea gli animi dei tre giovanissimi adolescenti persuadendoli ad una mimesi perniciosa a danno della loro stessa comunità: la scuola.

 

Eppure, per noi che sappiamo percepirlo, un fermento c’è. Un’eccitazione. Il bisogno di essere famelici, di qualcosa che prenda e trascini, di qualcosa su cui concentrarsi. Sulla lotta, per esempio. Perché di questo si tratta. La parola lotta contiene sesso, rabbia e sogno. Allora si prova a pronunciarla sottovoce, impudichi, e si cerca di connetterla a un’azione. A quel punto però torna l’opaco, la smerigliatura che divide il proposito dalla sua realizzazione. Avete pensato a quello che vi ho detto delle Brigate Rosse?, domanda.

[…]

“Non ho paura di loro, dice Scarmiglia, perché io parlo in italiano. Io, noi tre, parliamo in italiano. E cioè che cosa gli hai detto?, domando. Ho chiesto un’informazione usando per tutto il tempo il congiuntivo. Il sorriso gli diventa più grande e riempie una pausa di silenzio. Poi riprende. Per loro le parole sono chiodi e martello, dice, cucchiai e coltelli.”

 

Per me questo è un libro bellissimo che ho letto d'un fiato , la cui pregnanza mi ha folgorato in mezzo alla banalità di tanta scrittura contemporanea.