giovedì 8 luglio 2021

Valérie Perrin " Cambiare l'acqua ai fiori" Ed. e/o 2020


 Recensione di Antonella Pingiori


Da quando l'uomo ha scoperto il fascino e il mistero del racconto, ha sempre voluto avvicinarsi al mondo che, per mezzo delle parole, esso evoca e costruisce. Ma non tutti gli uomini sono uguali per ovvie ragioni e, quando i generi hanno iniziato a essere codificati, ben presto la letteratura si è divisa tra quella alta e quella popolare. Un esempio? Nella Roma imperiale pochi eletti leggevano e gustavano l'Eneide di Virgilio, mentre le grandi masse correvano ad assistere agli spettacoli dei mimi e a quelli, violenti e brutali, dei circhi. E nessuno si stracciava le vesti. Agli inizi del secolo scorso, c'era chi apprezzava i romanzi di Pirandello e chi si sdilinquiva per quelli di Guido da Verona. Alcuni generi letterari, come quello rosa e quello giallo, sono stati creati appositamente per un pubblico non troppo colto e non troppo esigente, che poteva, senza grande fatica, essere accontentato nella sua richiesta di intrattenimento.

    Oggi, però, nel 2021, sembra ancora più diffusa l'idea che un libro, qualunque esso sia, debba distrarre, far rilassare, divertire e, magari, non far pensare alla noia del quotidiano. Tutto questo almeno per il tempo che si decide di dedicare alla sua lettura. Chi considera, invece, la letteratura una forma di comunicazione artistica; chi pensa che l'opera debba interrogare e inquietare colui che legge; chi è convinto che leggere significhi capire i meccanismi attraverso i quali il testo stesso è stato costruito storcerà un po' il naso. Ma tant'è. Siamo in un Paese libero ed è giusto che in una buona libreria ognuno trovi quello che sta cercando. E se la maggior parte delle persone intende leggere per non pensare, gli altri, meno numerosi che chiedono al libro qualcosa che prima non possedevano, se ne faranno una ragione.

    Quello che chi frequenta la letteratura alta non riesce a sopportare è che venga spacciato come romanzo degno di tal nome, con tutto quello che questa definizione porta con sé dalla metà del Settecento a oggi, un libro di letteratura popolare. Come definire, infatti, una storia raccontata con una prosa piatta e molto elementare? Come giudicare quegli epitaffi, posti come rubrica all'inizio di ciascun capitolo, che si sforzano di proporre profonde verità e che spesso provocano invece un sottile imbarazzo in colui che legge? Come giudicare questo testo che propone una storia di abbandono, di amore mal riposto e di grande dolore, che viene diluita ininterrottamente con riferimenti a storie minori o parallele, che hanno tanto il sapore di digressioni atte a raggiungere un numero cospicuo di pagine? Il mercato impone anche questo: testi ponderosi che tengano occupato il lettore per molti giorni in modo da non fargli rimpiangere, alla fine, i soldi che ha speso per l'acquisto. E proprio perché il testo è ponderoso, in quanto a numero di pagine, l'editore può puntare su un prezzo di copertina per lui vantaggioso.

    Intanto il testo si dilata, si allunga e chi ha il coraggio necessario per proseguire nella lettura percepisce che si tratta dell'opera di una persona che non scrive abitualmente ma che ha pensato che la trama principale, che ha ideato, potesse reggere e che quindi potesse essere sviluppata. Chi, si sarà detta, riuscirà a resistere se gli racconto la storia di una donna infelice e sfruttata che trova la sua ragion d'essere nella maternità? E chi, quando si arriva al colpo di teatro, non proverà un incontenibile sentimento di solidarietà? Una storia. Infatti, quella proposta da “Cambiare l'acqua ai fiori” è solo una storia. Ma un tempo non si parlava della poetica dell'Autore? E non si leggeva un romanzo, un romanzo vero, per capire quale visione del mondo e dell'uomo avesse chi lo aveva scritto?

    Fermiamoci qui. Stiamo parlando come persone che amano la letteratura colta e non quella popolare. E leggere nella quarta di copertina che “Cambiare l'acqua ai fiori” è il romanzo più bello del mondo ci fa francamente ridere.

Aridatece “Il nome della rosa”, per restare nell'ambito floreale...

 


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