martedì 19 dicembre 2017

A Truvaura- Seconda puntata



di Giuseppe Perricone


Rosina lo osservava affascinata e pure un pocu scantata. Accortosi di ciò, lo strano ospite le rivolse un sorriso rassicurante e accattivante allo stesso tempo. La bimba, in quel modo tranquillizzata, ricambiò il sorriso. Appurato che il suo gesto aveva sortito l'effetto desiderato, il bambino la invitò con un cenno della mano ad avvicinarglisi, invito che lei accolse volentieri, infatti scese dal letto e andò a sederglisi accanto. 
     - Ciao!  - la salutò il bimbo – Ti scanti di me?
     - Ciao!  - ricambiò lei ed eludendo la sua domanda gli chiese: -  Cu sì? Chi sei?
     - Mi chiamo Angelo. E' da moltissimo tempo che sono in questa casa e che non vedo altri bambini della mia età. Sai, qui sto soltanto con dei vecchi che non mi permettono mai di lasciar­li. Solo uno é buono con me, un monaco, Frà Santo Spirito...  
     - Ma... da dove vieni? - lo interruppe la bimba e, prima che lui potesse risponderle, continuò – ‘Sti vecchi di cui mi parli chi sono? E... perché non te ne vogliono fare andare via?
     - Aooh! Rosina, miiih primura che hai. Quante cose che vuoi sa­pere! E meno male che prima ti scantavi di me! - poi, facendosi improv­visamente serio in viso, proseguì:- Non lo so... Non lo so se devo rispon­dere alle tue domande. Le mie risposte potrebbero preoccuparti più di quanto non lo fossi già all'inizio del nostro incontro.
     La bimba stette qualche attimo a meditare sulle ultime  parole di Angelo, ma subito la  curiosità ebbe il sopravvento sui suoi timori e riprese a insistere con le sue domande.
     Angelo cedette alle pressanti richieste di lei e, con titu­banza, riprese:- Come vuoi... Secondo te, dopo che si muore che succede?
     - Che succede? Ma lo sanno tutti quello che succede quando si muore! Se si é stati buoni si va in Paradiso, se cattivi all'inferno e se si é stati buoni ma si é commesso qualche pecca­to in Purgatorio.
     Alla candida risposta di Rosina, un risolino ironico si disegnò sul viso di Angelo.
     - Beh! - continuò questi - Una volta anch'io la pensavo così. E forse è anche vero, ma io ora, l'unica cosa che so é che di sicuro io non sono in Paradiso, forse in Purgatorio o all'Inferno, infatti dove mi trovo non sto affatto bene, in compagnia come sono di quei due vecchiacci. Per fortuna ogni tanto viene il Frate di cui ti parlavo prima. E' l'unico con cui mi trovo bene.
     - Ma... - s'intromise Rosina - Quando mi parli di Paradiso, Inferno o Purgatorio?  Che mi vuoi dire? Che significa?
     - Significa che io sono... morto o, almeno, così credo!
     Qui Angelo tacque un momento, come a volere assaporare l'effetto che le sue parole avevano prodotto sulla sua interlocu­trice. Infatti, questa era rimasta a bocca aperta per lo stupore; la rodeva un dubbio: che la stesse prendendo in giro? Comunque Angelo non le diede il tempo di reagire e continuò:- L'ultima cosa che ricordo di quando ero ancora in vita é che mi trovavo nel mio letto gravemente ammalato. Attorno a me c'era la mamma, papà, la mia sorellina che era sempre stata il bersaglio preferito delle mie monellerie, ...tu non immagini quanto mi sia mancata in tutto questo lunghissimo tempo. Vorrei poter tornare indietro per farmi perdonare da lei. C'era anche un prete e altre persone del vicinato. Poi ricordo di aver avuto un gran sonno e di essermi come addormentato per risvegliarmi subito dopo in questo posto dove ormai ho l'impressione di stare da un'eternità. Non so neanche quanto tempo sia passato da quando sto qui sotto.
     Nel dire questo accennò con la mano al pavimento sotto l'armadio e con tono grave, avvicinando la sua bocca all'orecchio di Rosina, come a  volere evitare che qualcun altro sentisse quanto stava per dire, aggiunse:- Voglio confidarti un segreto. Qui sotto c'é... un... tesoro! Ma tu....    
     A questo punto Angelo fu interrotto come da un ringhio che sembrava provenire anch'esso da sotto l'armadio.
     - Ora devo andare - disse con fare circospetto e impaurito - Si sono accorti della mia assenza. Ma prima di tornarmene da dove sono venuto voglio avvisarti. Per favore, qualunque cosa ti propongano rifiuta sempre. Non ho tempo per dirti di più, ma tu, ti prego, non accettare mai nessuna delle loro offerte, se mai dovessero fartene...
     Non aveva ancora finito di pronunciare le ultime parole quando,  come dal nulla, alle sue spalle spuntò un vecchio dagli occhi così rossi che sembravano tizzoni ardenti che sprizzavano scintille. Ma la cosa che più impressionò Rosina fu la sua espressione torva e malvagia.
     Il vecchio, con mossa repentina avvinghiò le sue braccia attorno al corpo di Angelo e, spingendolo in giù nel pavimento, ve lo fece sparire come attraverso un buco o una botola apertasi improvvisamente ai piedi dell'armadio.
     Rosina assistette a tutta la scena paralizzata dall'orrore, senza riuscire a muovere un dito in aiuto di Angelo.
     Quando questi scomparve alla  sua vista, il vecchio si volse a lei con fare mellifluo che voleva essere suadente e accattivante ma che, invece, lo faceva apparire  molto più malvagio e perfido di quanto non sembrasse già.
Il suono che venne fuori dalla sua bocca era molto più simile al ringhio di una bestia feroce che alla voce di un essere umano:- Carina, - ringhiò con tono sarcastico - vuoi venire con me? .... Potrai giocare col tuo amichetto.
     - Noo! Lascialo stare! Vai via!.... Ciccio... Damiano... Papà... Aiuto! - gridò Rosina, che finalmente era riuscita a sbloccarsi.
     A queste invocazioni, il vecchio, con una risata molto simile al ruggito di una belva, scomparve nel pavimento attraverso il quale prima aveva spinto Angelo.
     Fu a questo punto che accorsero Mastro Gaspare e i figli.
Da quella volta, per diverse notti, Rosina si coricò nel letto grande col padre. Poi, lei stessa una sera insistette per tornare a dormire nella propria stanza, con la segreta speranza di rive­dere Angelo e continuare con lui la conversazione così drammaticamente interrotta.
     Mastro Gaspare tentò di dissuaderla, ma la tenace insistenza della figlia lo costrinse ad accontentarla.
Per più di una settimana non capitò più nulla di partico­lare a parte i normalissimi scricchiolii prodotti dalle tarme nei mobili, tanto che Rosina cominciò a pensare di avere soltanto sognato Angelo e tutto il resto. Allo stesso modo presero a pensarla anche il padre e i fratelli. Ma ecco che una notte, quando tutti ormai avevano quasi dimenticato l'accaduto, vennero smentiti. Ancora una volta furono svegliati dalle urla di Rosina.
Da quando questa aveva ripreso a dormire nella propria stanza, aveva preteso che la finestra rimanesse completamente chiusa, perché la fioca luce lunare che proveniva da fuori produceva sulle suppellettili strani giochi d'ombre che le mettevano addosso una certa appren­sione, così che nella cameretta era il buio più pesto, ma Rosina lo preferiva.
Quando Ciccio e Damiano, subito svegli, seguiti dal padre si precipitarono nella stanzetta, Rosina non si sentiva più. Tutto sembrava in ordine... al buio.
     Mastro Gaspare pensò che la figlia avesse avuto ancora un incubo e che si fosse riaddormentata regolarmente. Tranquilliz­zato, sempre in silenzio, con la sola pressione delle mani sulle spalle dei due figli li invitò a tornarsene a letto.
     Mentre i due ragazzi ubbidivano, l'uomo si soffermò ancora per qualche attimo nella stanza e fu così che il suo udito perce­pì un flebile lamento proveniente quasi dal centro della cameret­ta. Tornò subito indietro e sommessamente chiamò la figlia:
     - Rosina...! Rosina...!   
     Non ottenne alcuna risposta. Si avvicinò allora al giaciglio  della bambina e tastandolo si rese conto, con sommo sgomento, che era vuoto.
     Con apprensione chiamò allora più forte:- Rosina...! Dove sei...? Rispondi a papà tuo...
     L'unica risposta ai suoi appelli era quel flebile lamento interrotto ora da qualche singhiozzo. Si volse verso la stanza dei figli maggiori e chiamò:- Ciccio...! Vieni subito qui e porta una candela accesa... E tu, Damiano vai nello stanzino di Andrea e resta con lui ché se dovesse svegliarsi, almeno ci sei tu a tenergli compagnia.
     Intanto che impartiva queste disposizioni, spostandosi a tentoni nella stanza, seguitava a cercare la figlia senza mai smettere di chiamarla. Si diresse verso il punto dal quale pareva avesse origine il lamento e quando fu quasi al centro della camera inciampò nella sedia che sarebbe dovuta trovarsi ai piedi del letto. All'urto seguì un grido che sembrava provenire dal pavimento proprio dove Mastro Gaspare si era fermato.
     - Rosina...! Figlia mia! - urlò anche lui ormai preso dal panico - Dove sei?
     - No! Via, andate via! - rispose la bimba urlando con quanto fiato aveva in gola.
     - Sono io, papà tuo! Non c'é nessun altro!
     Ciccio comparve sull'uscio; con la sinistra teneva un cande­liere di metallo su cui era infissa una candela accesa e nella mano destra stringeva un coltello a serramanico. Il ragazzo, spaventato dalle grida del padre e della sorella in particolare, si era fatto la convinzione che tutto quel trambusto era provoca­to da qualcuno introdottosi fraudolentemente nella stanza di costei. Aveva quindi ritenuto opportuno armarsi per difendere a qualunque costo le vite dei congiunti ritenuti in mortale perico­lo.
     - Papà! Chi é... ? Che succede...? Dov'é questo cornuto che lo voglio ammazzare con le mie mani!!! - gridò.
     - Zittuti. - gli gridò il padre - Posa la candela a terra e vai anche tu nel camerino coi tuoi fratelli ché sento piangere 'u picciriddu ...
     Ciccio non accennò minimamente ad ubbidire al padre, ma, fermo dov'era, prese a guardarsi intorno con circospezione, pron­to a lanciarsi, coltello alla mano, contro qualunque estraneo gli si fosse parato davanti.
     Gaspare gli andò incontro, gli strappò la candela dalla mano e con uno spintone lo spinse bruscamente fuori. Bastò la fievole luce della candela perché, finalmente, l'uomo scoprisse con sgo­mento dove fosse finita la figlia. Praticamente, questa si trova­va imprigionata all'interno della gabbia formata dalle gambe e dalle traverse della sedia. Gli occhi spalancati all'inverosi­mile, quasi fuori dalle orbite, erano fissi in modo innaturale in un punto indefinito della stanza, la bocca spalancata emetteva ora una specie di sibilo molto acuto.  Aveva il respiro affannoso e irregolare. Le nocche delle dita erano biancastre per la forza che la bimba metteva nel serrare le mani attorno agli staggi della sedia.

     A quella vista Mastro Gaspare si bloccò esterrefatto. Temet­te che la figlia, per lo scanto, avesse perso il senno. Non sapeva che fare, conscio com'era che in tutto quello che stava capitando alla sua bambina non c'era niente che potesse essere spiegato in modo razionale. Poi gli sovvennero alla mente i durici paroli da virità, le dodici parole della verità.
                                                                                                                       (continua...)

Nessun commento:

Posta un commento