Recensione di Bianca Mannu
D’oro
e di cemento: titolo icastico e bellissimo perché sintesi granitica del romanzo
di Maria Rosa Giannalia , nel suo riferimento veritiero alla vicenda storica e
sociale che ha interessato la Sicilia occidentale nella seconda metà del
Novecento. Anche solo per questo, il romanzo si staglia come opera di realismo
letterario, senza farsi cronaca o indulgere alla coreografia poliziesca,
invalsa in opere di genere.
Il
tessuto narrativo si snoda coniugando l’uso perfetto dell’italiano con il
sottofondo melodico e iterativo del siciliano, anche al netto dei richiami
dialettali che connotano specificatamente, prima gli anni immaturi, poi i momenti psicologici e le temperie
umorali giovanili, e, dopo ancora, i discorsi interiori e l’interlocuzione,
viepiù distante e critica, del protagonista narratore con il suo mentore (il
“parrino” Michele) e infine quella con il giudice istruttore (presenza assente,
come un Dio senza deità).
Lo stile narrativo, davvero particolare e
significativo, si fa mondo e risuona
come una musica che si articoli su tonalità diverse e variazioni a strappi, ottenuti
dall’emersione brusca di motti e proverbi dialettali, punti sintomatici del
granitico legame etico culturale limitato e denso di ambiguità , cui Mimmino è costretto ad appoggiarsi non avendo potuto beneficiare di modelli
culturali di confronto prima e fuori dal suo precoce ingaggio nel
mestiere. Su quel magro sostrato va a
stagliarsi il conflitto interiore del protagonista alle prese con le istanze
educative primigenie credule e gli effetti
ambivalenti, tra fascinazione e coercizione, del mondo fisicamente
incombente, reale e ambiguo.
Un
altro elemento strutturale e di notevole efficacia realistica è la
considerevole competenza e disinvoltura con cui l’Autrice entra e ci conduce
nel cerchio professionale di Michele e
del giovanissimo Mimmino. Forte di questa conoscenza (quasi diretta), Giannalia
rende linguisticamente palpabile (senza mai indurre alla noia) la ratio edile
dentro la vita del protagonista, raccontando come ne diriga i sogni, ne motivi le fatiche, ne
giustifichi le scelte “amicali” e i cogenti legami d’interesse e fedeltà al
gruppo e ai capi, insieme con l’accoglimento
dei rischi immediati e possibili, peraltro pensati come controllabili ad
libitum, per via della divisione dei compiti operativi nell’ambito della cosca
stessa, come l’Autrice sottolinea.
In effetti è
proprio la forma mentis acquisita tramite la pratica edile e il caotico portato culturale di riferimento
(ostaggio di parecchie confusioni concettuali, come quella tra timidità caratteriale di una persona e la
presunta mitezza/bontà, ritenuta
inossidabile perché costitutiva) a suscitare in Mimmino il progetto allettante
- da prospettare all’uomo d’onore di una
cosca esistente, ma ancora di poco respiro -
circa la possibile trasformazione degli agrumeti in aree edificabili,
con esiti molto remunerativa nei convincenti precalcoli.
In
effetti il romanzo, condotto in punta di una ben calibrata prosa narrativa, è
il percorso di educazione e autoeducazione di Mimmino. Questi, entità umana
nell’albore della vita, si presenta segnato dal sentimento d’ingenua
identificazione con l’alter ego Michele, il buono . Ecco Mimmino, adolescente
operaio dipendente e povero, affidato a se stesso, ricco di desideri, sogni, e afflitto da
piccole scaramucce interiori; lo ritroviamo quasi maturo, sguarnito di veri
fondamenti umani, preso nei tentativi ben poco fruttuosi di corrispondere
a una ideale consistenza fondata sulla
bravura professionale; eccolo ancora librarsi,
nel segno della promozione del sé e dell’ego, per proporsi a un mondo
ristretto di figure dalle referenze ambigue, mettendo in gioco la sua
professionalità, ma sopra tutto la sua aperta compatibilità morale verso
l’avidità altrui, peraltro paludata d’affabilità e d’intenzioni coperte, di cui
già aveva indiretta esperienza; infine
eccolo disfarsi di ogni autocontrollo volitivo e propendere per la facile accettazione della
via breve delle collusioni e delle prevaricazioni, verso la scalata economica e
il successo sociale.
Come cieco e sordo, precipita nella polvere
della caduta, nella irrefutabile condizione del proprio fallimento umano e
della contestuale carcerazione, il carcere, sola casella sanzionatrice del suo
crollo. Inizia così a guardarsi denudato di colpo, non solo imputato, ma
proprio amputato dell’aureola dell’onorabilità umana e dell’amabilità
familiare, per l’eternità della vita e della già iniziata nuova generazione.
Infine
il maturo Mimmino si avverte privo anche del minimo desiderio di adire a una
sorta di ricupero sociale mediante la dissociazione e la delazione. Il ricorso
a tale pratica tribunalizia significherebbe potersi tirar fuori a buon mercato
dalle responsabilità assunte con le proprie scelte e assicurarsi una sorta di
sussistenza oscurata e protetta a carico della comunità sociale indistinta. Ora
la sua maturazione fulminea si commisura con l’impraticabilità personale di una
tale opzione: i fatti non si possono né disfare né bypassare. I fatti sono le
tessere episodiche e parziali di un sistema di relazioni irriducibile alla
partizione degli umani in schiera dei buoni e in quella dei cattivi, oppure
nella distinzione tra chi ce l’ha fatta senza incidenti di percorso e appare a
sé e a tutti come “a posto”, e chi – fallito per colpa orrenda e per ybris –
non potrà mai guardarsi allo specchio o negli occhi del proprio figlio, né
tollerare una specie di morte civile a stipendio garantito.
Qui
l’Autrice, nei panni interiori di Mimmino, dimostra una sottigliezza concettuale
e argomentativa, che sembra lambire il margine delle teorie eticopolitiche
volte alla ricerca teorica e pratica delle palingenesi umane sistemiche. L’apocalisse
o la rinascita – pensa Mimmino - o è per tutti
o non è, poiché le “verità” parziali sono farsa, accomodamenti vani,
incapaci di sradicare i mali sociali e di bonificare profondamente le coscienze
individuali; meno che mai quelle che sono rimaste consapevolmente invischiate
per ignoranza, avidità e senso di prepotenza, in segrete pratiche di potere e
torti umani insuperabili .
Soleminis (CA) 24 marzo 2023
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Recensione di Alessandro Ghisu
V classe liceo scientifico Euclide - Cagliari
"No, che non parlo. La mia famiglia è questa ormai".
Maria Rosa Giannalia ci presenta in
"D'Oro e di Cemento" uno spaccato di vita degli anni '60 in
Sicilia,
attraverso l'occhio di un boss mafioso, Mimmino, che, dopo una
vita di malefatte, trovandosi in
carcere, decide di confessare le sue colpe. Tuttavia, egli chiarisce sin da subito come non abbia
intenzione di tradire
i suoi compagni, definendoli come la sua famiglia. Egli nasce da una
modesta
famiglia di operai, e sin da piccolo conosce la fatica e la
povertà, impara il mestiere di muratore dal suo
padrino, onesto e bravo lavoratore, ma dopo i vent'anni decide di allontanarsi da lui e avvicinarsi alla
cosca mafiosa del suo paese presso la quale si affilia per trovare una forma alternativa e più
remunerativa di vita e per potere avere tutto ciò che mai aveva avuto.
Con questo espediente narrativo, l'autrice non racconta la mafia che
agisce esplicitamente, con omicidi
o violenze, bensì quella più
subdola, nascosta dietro l'omertà delle persone, che si sostituisce
allo Stato
presentandosi come conveniente alternativa.
Viene raccontata così la mafia
sotto un punto di vista completamente nuovo, ovvero quello di un
ragazzo che vuole arricchirsi con il suo lavoro e di come riesce a scalare i gradini dell'associazione
mafiosa fino a
diventarne uno dei boss più noti.
L'autrice ci fa vivere a pieno
l'ambiente siciliano del tempo, decidendo di scrivere in dialetto con
frequenti forme colloquiali, proverbi e dicerie, e
modificando la sintassi e il lessico per rendere il
linguaggio più
simile ad una forma parlata che emerge soprattutto nella descrizione della mentalità
contorta del protagonista, che
continuamente si interroga sulle sue azioni, domandandosi cosa sia
successo nella sua vita per essersi ritrovato in quella sua situazione. Perché è nato in una
famiglia
povera? Perché ha dovuto lavorare sin da piccolo in
cantiere? Il romanzo si chiude perciò con una
importante riflessione
del protagonista, che solo negli anni della galera ha potuto
ritrovare quella gioia
della cultura che provava soltanto quando il suo padrino gli leggeva storie, e non negli anni della
scuola, per lui
troppo ostica e noiosa.
Perciò, consiglio caldamente la
lettura di questo romanzo a chiunque voglia conoscere la mentalità
del
tempo, capire come la mafia si introducesse nella vita delle
persone, e soprattutto, per
capire a pieno
l'importanza della cultura.
Cagliari 8 marzo 2023
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Recensione di Elisabetta Rombi
Ho letto il romanzo D'oro e di cemento di Maria Rosa Giannalia e l'ho trovato
molto interessante e
riuscito. Non posso sviscerarne tutti gli aspetti, solo qualche osservazione rapida: la scelta del punto di
vista dà a
chi legge la possibilità di una prospettiva inusuale, capace però di rendere la
complessità
dell'animo umano nelle sue contraddizioni (Mimmino tra
l'ammirazione e l' affetto del parrino e la
seduzione di una vita di benessere). Il suo patto col diavolo è reso con credibilità, Mimmino emerge
come un
personaggio autentico, con le sue luci e ombre. E questo lo apprezzo
particolarmente: in un
momento in cui le distinzioni tra bene e male si fanno
marcate, è molto bello che qualcuno ci ricordi
che gli umani sono difficilmente
catalogabili. Mi è piaciuta quella voce (la sentivo parlare) mi è
piaciuto il
ritmo della narrazione (molto musicale) ho percepito sotto
l'italiano il siciliano. E le lingue
regionali sono sempre più
vicine all'anima della gente. Non è un giallo: è il pregio della narrazione.
Riuscita la struttura e i personaggi. C'è una bella tensione,
viene voglia di leggerlo d'un fiato ma poi
manca qualcosa quando
termina.
Cagliari 8 marzo 2023
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Recensione di Rita di Gusberti
Il duro lavoro, le contraddizioni, la violenza della realtà quotidiana a
Villaranci, piccolo paese vicino a Palermo, dove di svolge la vicenda che
inizia negli anni Cinquanta e si conclude negli anni Sessanta con la distruzione
della Conca d’Oro.
E’ il mondo di Mimmino, il protagonista, di cui conosciamo percorso di
vita, scelte e interiorità fatta di affetti, frustrazioni, distruttività.
Due piani narrativi e due piani temporali in cui passato e presente si
alternano, speculari e funzionali l’uno all’altro, distinti graficamente e con
due possibili livelli differenziati di lettura.
Siamo trasportati nelle vie del paese, nei cantieri di lavoro, nelle
case; ascoltiamo le voci dei personaggi; partecipiamo alle mense a volte
ricche, a volte povere di cibo, altre volte povere di affetti; vediamo il
colore dei campi e sentiamo il profumo della zagara.
Un’esperienza sensoriale, a tratti sensuale, veicolata dalle descrizioni
di paesaggi, di ambienti, di spaccati di vita e dall’uso di un linguaggio molto
connotato nei diversi registri soprattutto nella parlata siciliana, quasi una
tessitura narrativa.
Attraversiamo il mondo dei muratori e dei giornalieri, umili e sfruttati
senza alcuna possibilità di riscatto, e quello dei mafiosi arricchiti col sacco
di Palermo e che, insieme al paesaggio
e all’economia, hanno distrutto anche il tessuto sociale e umano.
In questo contesto Mimmino tradisce i valori di onestà appresi da mastro
Michele, il parrino, figura chiave, e li baratta con il lusso e con l’ascesa
nella scala sociale.
Incontriamo figure femminili, alcune identificate nel loro ruolo
all’interno della famiglia e altre connotate come Rosetta, con le lacrime
azzurre, e Giuseppina, resa muta da Mimmino. Due percorsi di vita che diventano
l’uno il contraltare dell’altro.
Il protagonista si racconta a tre soggetti diversi e in tre contesti
diversi: al lettore direttamente; al parrino attraverso la memoria, lo spazio
entro cui lo fa agire; al magistrato in carcere, dove è ascoltato in silenzio e
senza essere giudicato.
In realtà parla a sé stesso in una sorta di mappatura esistenziale e
autoassolutoria della sua vita e della sua scelta mai rinnegata, attribuendo
l’intera responsabilità alle Istituzioni assenti in un mondo dominato da mafia,
corruzione e malaffare a tal punto da rendere illusorio, se non del tutto
inutile, il tentativo di uscire dalla miseria senza tradire i propri valori.
Questo il nodo centrale della narrazione, questo il grande interrogativo
etico sotteso: come conciliare l’aspirazione al riscatto sociale con l’onestà e
il senso civico?
Una domanda ineludibile di fronte a meccanismi perversi così
profondamente radicati, alle responsabilità delle Istituzioni e dei singoli
individui cui Mimmino abdica, al senso di fatalismo dominante.
Nessuno spazio per la speranza, ma una sfida che può concretizzarsi
nella figura di Rosetta e, nel finale, in quella di Mimmino.
Il libro cattura, fa riflettere, interroga.
Chiavari 18/01/2023
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Recensione
di Damiana Marongiu
D'
oro e di cemento è un romanzo di vita
vera, molto profondo ma di facile e piacevole lettura.
I
fatti raccontati appartengono ad una realtà
siciliana e meridionale in
generale.
Mimmino, protagonista principale insieme al
padrino Michele si racconta ad un
giudice immaginario in modo staccato da se stesso come se vedesse i fatti dal
di fuori.
Il
racconto di Mimmino in prima persona ci mostra
una Sicilia umile, generosa
e povera. La povertà e l'ignoranza , la povertà e la cultura sono lo
spartiacque che differenziano il pensiero dei protagonisti e di conseguenza gli
eventi e le scelte di vita degli stessi.
Il
romanzo ci porta ad una esperienza
sensoriale immaginaria completa, con il profumo delle zagare, il gusto dolce dei mandarini,
il paesaggio dorato dal sole e il canto degli uccelli tra gli alberi di mandarini.
Questo
romanzo vi farà conoscere uno spaccato di vita reale
della bella Sicilia.
Quartu
Sant’Elena 15/01/2023
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Recensione di Giuseppe Ciminna
Ho raccolto le chiavi
di lettura del tuo libro che come compaesano sento già mio. Hai saputo tessere
storia, cultura e Invitare alle riflessioni. Un fantastico racconto, originale
nell’idea e nello stile letterario, dove costume e politica invitano il lettore a capire- attraverso una lettura piacevole - lo studio
antropologico e sociale e lo sviluppo subdolo dei territori e nostro in
particolare. Un regalo alle nuove generazioni che hanno bisogno di conoscere la
storia del proprio territorio, il senso e le dinamiche
del presente. Trovo originale la forma di scrittura con cui si evolve il
racconto del protagonista. Sei grande!
Villabate 13-01-2023
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Recensione di Daniela Patti
Ho letto il libro e sono stata molto coinvolta da varie
riflessioni che via via ha suscitato in me la lettura del racconto. Non mi
soffermo a commentare lo stile, il linguaggio (che comunque trovo molto
scorrevole e semplice adatto a tutti i tipi di lettori) quanto piuttosto al
contenuto. I luoghi il paesaggio sono ben descritti e rappresentati tanto da
poterli immaginare nella mente, vederne i colori e sentirne il profumo della
zagara e degli agrumi; inoltre per me che sono del territorio i personaggi sono
figure attuali che possono riscontarsi anche adesso nei modi di pensare e di
fare di tanta gente, persone comuni in cui ancora persiste questa cultura,
questa mentalità. Trovo che sia anche adatto alla lettura delle nuove
generazioni per comprendere meglio le radici del nostro territorio, dei modi di
fare della gente del luogo, che, anche oggi, seppure a distanza di tanti anni,
serpeggia tra chi sembra essersi emancipato e chi è rimasto legato alle
tradizioni. Figura centrale è Mimmino un uomo che incarna bene le varie
sfaccettature di personalità comune a gente che anche oggi dopo essere
cresciuta con dei "valori" ad un certo punto si trova davanti ad una
scelta, ma anche gli altri personaggi (seppur meno evidenti) ci raccontano
molto del ruolo che occupano e che rappresentano nella realtà quotidiana del territorio.
Leggendo attentamente è un libro che scava molto dentro l'animo umano mettendo
in risalto i conflitti interiori che ognuno di noi è chiamato a vivere per
rimanere nel territorio con le conseguenze che deve sopportare in base alle
proprie scelta di vita. Noi siamo il frutto delle nostre scelte, scelte fatte
in base ai valori che abbiamo ricevuto, raccolto e voluto portare con noi nel
nostro bagaglio, che ci portiamo dietro e segnano la nostra vita. Uno spaccato
della società di quel periodo storico che si attualizza anche oggi in cui il
sacco di Palermo continua ad essere presente con la costruzione di palazzi,
case ecc.. Che sorgono senza prima aver creato servizi essenziali che servono
per vivere decorosamente e in modo dignitoso, venendo a mancare spazi per le
scuole, parchi, aree verdi in cui sostare, spazi per parcheggio di auto, zone
dedicate ad attività industriali di vario tipo che invece le ritroviamo in
mezzo alle abitazioni civili provocando inquinamento acustico, aria insalubre
etc.....insomma "munnizza" di ogni genere. Complimenti Mariarosa, un
libro semplice, pulito ma che va dritto al cuore di chi legge.
Villabate
13-01-2023
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Recensione di Ilaria Pistolato
La voce è una sola ma i personaggi sono
tanti. Il racconto della vita di un uomo che affronta la dicotomia bene-male,
fra convenzioni sociali e bisogno di facile rivalsa. Un confronto fra il vivere
una vita faticosa che imiti “la regola d’arte” contro la semplicità
dell’arrendersi a costo della perdita della cosa più importante: la
famiglia.
I personaggi sono metafore della vita e del
tempo che passa e ci richiamano a ricordi di un paesaggio perduto evocato non
solo da descrizioni ma dai profumi. Avvicinano al luogo chi non lo conosce riuscendo
a far sì che ciascuno lo faccia proprio, risvegliano una memoria che non
sappiamo di possedere, apparentemente universale ma specificatamente di quel
territorio.
E’ la grande capacità immaginifica di questa
narrazione, scorrevole soprattutto grazie alla alternanza fra un
passato evocato e un presente drammatico e intenso che non dà modo al lettore
di stancarsi durante tutto il cammino del protagonista alla scoperta della sua propria verità.
Venezia, 5/01/2023
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Recensione di Rosetta
Martorana
I personaggi chiave sono Michele padrino di
battesimo di Mimmino, il protagonista del romanzo.
A Villaranci
Mimmino inizia a lavorare a soli 10 anni nel 1955 con mastro Michele suo
parrino.
Uomo onesto e gran lavoratore, Michele
insegna al figlioccio la tecnica della costruzione delle case, ma, per una serie di
circostanze avverse, vivrà miseramente e chiuderà l’attività.
I due si separano percorrendo strade
diverse. A vent’anni Mimmino lavora per una grande impresa edile che gli
permette di entrare nel giro dei soldi.
Ed è a questo punto che decide di
cambiare tutta la sua precedente vita affrancandosi dalla povertà. Decide
quindi di affiliarsi alla malavita entrando nel giro di quel don
Ciccio che aveva portato alla rovina suo padrino.
Siamo in pieno sacco di Palermo con
l’edilizia selvaggia che trasforma la Conca d’Oro, fatta di giardini di
agrumi, in un enorme alveare di case costruite con il benestare della
mafia, della corruzione e del malaffare. Mimmino tradisce i valori
trasmessi da mastro Michele e diventa uno dei protagonisti dello
scempio della Conca.
Quest’opera prende e cattura il lettore per
diversi aspetti della storia narrata e precisamente:
-per lo sfondo
storico che vede anche noi attori di un’epoca legata alla nostra adolescenza;
-per il territorio
tutto siciliano, anzi palermitano, che fa parte di noi stessi;
-per i diversi
tipi di registro linguistico adoperati;
-per la
passionalità con cui l’autrice narra gli accadimenti.
Tutto questo, a mio avviso, affascinerà anche
chi siciliano non è perché si avverte una sorta di sottile fatalismo che, pur
essendo una caratteristica tipicamente sicula, coinvolge ontologicamente ogni
essere umano specialmente quando si attraversano fatti epocali, come quelli attuali.
L’autrice ha messo in esergo al suo libro un
pensiero di Corrado Alvaro, tratto dal suo “ Ultimo diario “ del 1961 e che
costituisce la cifra interpretativa di questa narrazione, a
proposito della disperazione che può impadronirsi di una società, relativa al
dubbio che sia inutile vivere con onestà. Ma ci si chiede fino a che punto la nostra
coscienza possa fare da baluardo di fronte a certi avvenimenti che toccano le
proprie scelte, il proprio diritto alla felicità, il sogno individuale più
semplice di benessere, il desiderio di ogni persona di sentirsi importante nel
suo piccolo, quando certi meccanismi perversi e ingarbugliati non tutelano la
brava persona, il cittadino con un forte senso civico, il padre di famiglia che
vuole assicurare l’essenziale ai propri cari e tante altre
realtà sotto gli occhi di tutti. La
narrazione è tutta giocata in prima persona attraverso il protagonista, Mimmino
bambino e Mimmino ventenne e adulto, con una tecnica di scrittura che
permette, in un’alternanza narrativa, di avere presente nello stesso
momento la conoscenza sia del primo protagonista, Mimmino appunto, che del
secondo protagonista, mastro Michele, la cui vita il lettore conosce dal
racconto che Lui, il suo figlioccio prediletto, fa al magistrato che lo
interroga in carcere.
Tutti i fatti narrati
costituiscono la cornice entro cui si muove il protagonista nelle diverse età
della sua vita in un continuo avvicendarsi tra presente e passato che si coglie
attraverso i vari registri linguistici magistralmente adoperati dall’autrice.
La struttura del testo
non è lineare, ma presenta questa disposizione:
1) Nelle pagine dispari.Mimmino
dai sei anni ai venti si racconta
direttamente ai lettori
2) Nelle pagine pari,
invece, Mimmino, più che quarantenne in carcere, dialoga mentalmente con il suo parrino, che
racconta ( tutto ciò che ha detto di sé stesso e di lui, cioè il parrino, e del
rapporto prima dei vent’anni) al magistrato che lo interroga cercando di
persuaderlo a diventare collaboratore di giustizia.
I due piani narrativi, in
questa prima parte, permettono di passare dallo stile narrativo, discorsivo e
spesso di forte denuncia di Mimmino adulto a quello di Mimmino piccolo caratterizzato
dal forte recupero memoriale e dalla grande ammirazione nei confronti del
parrino; i due registri si avvicendano di continuo senza mai creare confusione
o incertezza; anzi diventano uno strumento accattivante e una marcia in più nel
godimento della lettura. Molto efficace è il monologo del
protagonista che viene vissuto dal lettore come un dialogo, la cui controparte
è da ricercare nell’episodio stesso narrato o nella propria coscienza
ricordando così lo stile di Sandor Maraj delle “ Braci “. Questo registro
linguistico permette un vero e proprio esame di coscienza che diventa dominante
nel continuo porre domande al magistrato presente sempre taciturno, come quasi
un convitato di pietra, perché le risposte vengono date da Mimmino stesso con
precisione e amara lucidità e perché il giudice è il lettore medesimo il quale
non accetta e non dà una giustificazione alla scelta fatta, ma ne comprende la
genesi. La narrazione di certi fatti è poi caratterizzata da un’atmosfera da romanzo
giallo con la tecnica della suspence: gli episodi vengono ripresi
cronologicamente dopo, con il tipico enjambement di ariostesca
memoria.
Come afferma l’autrice, corrispondono alla
realtà la storia del parrino Michele, la Palermo degli anni del dopoguerra, il
paesaggio della Conca d’Oro e il saccheggio di Palermo con l’edilizia
selvaggia; il resto è frutto di invenzione che scaturisce però dalla realtà
come ebbe ad affermare Manzoni con il concetto del verosimile. Emblematica e
decisiva è la descrizione di Mimmino piccolo ( con tanti ideali e progetti di
vita improntati all’onestà di Michele che non si arricchì mai e lavorò sempre
con scienza e coscienza; come diceva lui: “ A regola d’arte”) rapportata a
Mimmino adulto realizzato ma deluso e arrabbiato perché ha dovuto pagare lo
scotto del suo cambiamento sociale rimanendo fedele ai nuovi principi perversi,
fatti propri e mai rinnegati, facendone però un grimaldello della
sua coscienza per accusare chi lo ha portato a tanto.
Dice Mimmino: “Meglio
essere qualcuno per venti come me che essere nessuno per tutti. La speranza di
Mimmino piccolo e la determinazione di Mimmino adulto costituiscono le file
rouge dell’intera storia che diventa quasi una denuncia allo Stato e
alla società come se lui non avesse colpa e che corrisponde alla descrizione,
tra le righe, di una certa anima siciliana tradita nella non realizzazione di
ciò che le spetta di diritto. Il romanzo vuole far capire che
si diventa mafioso, senza però prendere mai le difese di chi
delinque, per colpa delle Istituzioni assenti e che si disinteressano
dello sfruttamento e della povertà di una società abbandonata ad un destino
prestabilito con l’unica scelta di intraprendere una trada senza
ritorno.
La narrazione dal punto
di vista del protagonista crea curiosità nel lettore che viene catapultato
nella storia arrivando a provare simpatia per lui e sperando in una sua
redenzione. E’ un libro che ti lega alla storia e ti conduce alla conclusione
con soddisfatta curiosità, ma anche con una punta di rabbia per il mancato rispetto delle
buone e brave persone che in Sicilia sono tante.
PALERMO, 2
DICEMBRE 2022
§§§§§§§§§§§§§§
Recensione di Giulia Tumminello
In questo post una riflessione sul mio libro
"D'oro e di cemento" di Giulia Tumminello, che ringrazio.
"Premessa doverosa:
si tratta di commento a caldo sulle tematiche che mi
sono rimaste maggiormente impresse, e che non vuole essere esaustivo. Inoltre,
non so come si scriva un commento.
Seconda premessa ancora più doverosa: non ho mai dato
un mio parere su un libro all'autore dello stesso!Ma questa circostanza non mi
inibirà affatto, anche perché il romanzo mi è piaciuto. Quindi ecco il
commento:
ho apprezzato il mutamento del registro narrativo,
quasi elementare nelle prime pagine, ma appositamente scelto per dare veridicità
allo status e all'età del narratore, che diventa più appropriato nel prosieguo
del racconto. (anche se il registro di Mimmino da adulto mi sembra fin troppo
curato per appartenere ad un analfabeta arricchito. Ma magari questo è un mio
pregiudizio. In ogni caso, registro apprezzato per una lettura più spontanea e
piacevole).
Ho apprezzato anche la lunghezza non eccessiva di
periodi e capitoli che hanno reso la lettura piacevolmente scorrevole.
Quanto alla trama, mi è sembrato audace il modo di
descrivere i due mondi contrastanti, cioè quello dei mafiosi arricchiti e
quello della gente umile.
In particolare, il mostrare il mafioso arricchito che
non si pente, ma che anzi rivendica il proprio operato e la propria
appartenenza ad un sodalizio criminale quale riscatto nei confronti di una
società che non concede possibilità di emancipazione agli ultimi, ai meno
abbienti.
Del resto sarebbe ipocrita non ammettere che in
determinati strati sociali è questo il pensiero dominante, e anche una amara
verità.
Quanto alla narrazione relativa a muratori e
giornatari, ho apprezzato l'assenza dell'ipocrita esaltazione popolare del
grande lavoratore umile, povero ma per questo pieno di dignità (e basta?), come
se fosse la sola condizione possibile cui può ambire un umile semianalfabeta
(viva la figura di Rosetta!!).
Vero è che la narrazione è quella di un mafioso, e che
quindi non può pensarla diversamente, ma altrettanto vero è che il testo è
dell'autore.
E secondo il mio giudizio da lettrice, l'autrice ha
operato una selezione ben equilibrata ed equidistante nella scelta dei
"pro" e dei "contro" nella descrizione dei diversi ambienti
sociali di appartenenza dei personaggi del romanzo.
Ancora complimenti!"
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Recensione di Ornella Pani
Come si diventa un mafioso? Una buona dose di colpa è delle istituzioni assenti, che sembrano dimenticarsi di una società dove lo sfruttamento e la povertà sono un destino ineluttabile, a meno di imboccare una strada da cui non c'è ritorno. L'io narrante è molto bravo a spiegare al giudice il suo punto di vista; un giudice che non gli risponde mai, per tutto il romanzo, perché quel giudice è il lettore. E il lettore, se non può giustificare quella scelta, può almeno capire da dove nasce.
Voglio dire a Maria Concetta Rosa Giannalia che il suo romanzo mi è piaciuto.
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Recensione di Maria Teresa Casu
Ho trovato originale l'idea del dialogo del personaggio Mimmino con un giudice "assente", e viene il
sospetto che in realtà si tratti di un dialogo interiore e intenso che fa immaginare al lettore, ansioso di
scoprirlo, un pentimento che non arriverà. Mi sono chiesta il perché di questa conclusione, che è il vero
colpo di scena dell' intera vicenda. ( Forse rimarrà un segreto, che ogni autore, d'altronde, porta con sé
nella propria creazione letteraria). Ho provato a cercare la risposta nel carattere di Mimmino, disposto
a sacrificare famiglia, e affetti, pur di salire i gradini della scala sociale fino al punto più alto. Ci si
trova immersi nella sua vita, disapprovando, o meno, le sue scelte, ma comunque indagando sulle
origini di questa dubbia moralità. Nonostante questo, ne fai un personaggio (quasi) simpatico, e il
lettore diviene suo "complice" nelle rivendicazioni, illegali beninteso, dei diritti di cui è stato privato
da una società ingiusta ed egoista.
Ho "visto" i campi coltivati, e il colore di arance e mandarini; ho "sentito" il profumo delle zagare. E
questo non è cosa facile. Inutile dirti che ho trovato il linguaggio ben adattato a ogni situazione. Un bel
libro, e, di questi tempi, se ne trovano pochi in giro. Sono stupita che le case editrici a cui ti sei rivolta,
non abbiano saputo apprezzare.
O forse siamo noi veramente sprovveduti, e incapaci di apprezzare la bellezza?