sabato 22 marzo 2014

Il caffè del parco
















La foto viene da qui











                                                                                                                                                                   Quartiere di Pitz'e Serra- Quartu Sant'Elena

Altre volte su questo mio blog, ho descritto il quartiere dove abito. Quartiere di palazzi-casermoni stile architettura sovietica anni ’50, sicuramente stranianti in un posto come la città di Quartu Sant’Elena, dove gli spazi aperti e la vicinanza del mare, nulla avrebbero dovuto avere a che fare col predetto stile. Specialmente se consideriamo  che tali palazzi sono stati costruiti negli anni ’90 del secolo scorso,  quindi a quasi quarant’anni di distanza dal predetto stile.
Ma, come siamo stati abituati a pensare, ci sono ragioni politiche particolarmente misteriose che esulano dalla comprensione dei comuni abitanti delle periferie. Questi pazzeschi non-luoghi, dove molti di noi vanno ad abitare loro malgrado,  hanno un solo  vantaggio: avere prezzi facilmente accessibili. Ma, mi chiedo, ( e non so darmi risposta) perché mai anche l’edilizia popolare non può godere di una ancorché minima parvenza di bellezza in grado di predisporre l’animo ad una futura raffinatezza non solo di gusto estetico ma anche di rapporti umani?
Evidentemente le ragioni dei nostri decisori politici in fatto di scelte edilizie, di concessioni e piani regolatori, viaggiano su altre dimensioni, diverse dal buon senso comune, che sfuggono alla nostra comprensione. Però… però. Di fronte a questi brutti palazzoni, c’è un bel parco pubblico, pieno di alberi e prati, dove i bambini e i vecchi passano diverse ore della giornata. E anche i meno vecchi e alcuni adolescenti in amore nei giorni in cui marinano la scuola.
Il nostro, dicevo,  è un quartiere periferico della città. Tuttavia da qualche anno, ogni sabato, si organizza un mercatino di ortofrutta dove la vendita dei prodotti passa direttamente dai produttori ai consumatori.  Per questo motivo, legato alla genuinità dei prodotti, molte persone arrivano, per i loro acquisti, dai quartieri più centrali della città. La presenza di questo mercatino anima le mattinate di tutti i sabati in un clima festoso e molto simpatico. 
Nella piazza dove i venditori armano le loro bancarelle, c’era, da alcuni anni, un caffè all’aperto, molto grazioso, dove tutti i clienti del mercatino erano adusi recarsi a prendere un caffè, a fare quattro chiacchiere con gli amici. Si potevano vedere molte mamme con i bambini a fare colazione e ad intrattenersi piacevolmente con le amiche. Ciò accadeva anche in tutti gli altri giorni della settimana. Il “caffè del parco” era un luogo piacevole di ritrovo per gli abitanti del quartiere, grazie anche all’affabilità dei giovani gestori pronti ad accogliere tutti con un sorriso e una battuta di spirito.  Cosa non del tutto scontata in questa nostra città, dove spesso abbondano, tra i gestori degli esercizi pubblici, facce da consuma-presto-il-tuo-caffè- e-vattene.
Andare dunque a trascorrere  dieci-quindici minuti in quel caffè era veramente gradevole. Ci si poteva anche trattenere a leggere il giornale e qualche libro, poiché all’aperto non arrivava la musica assordante, cifra ormai ineludibile di tutti i locali pubblici. Quasi che i cittadini non debbano più avere diritto di parola, ma siano inesorabilmente costretti a stare zitti e ad ascoltare, obtorto collo, sfilze di orrende pubblicità, intervallate da altrettante orrende musiche con video annesso per completare la loro personale lobotomia totale.
Perché ho usato il tempo imperfetto nella descrizione di questo caffè?
Semplice: da due mesi questo "caffè del parco" non esiste più. Al suo posto fa bella mostra di sé la carcassa di vetro e cemento dalla quale si intravedono gli interni smantellati e offesi definitivamente. Il piccolo giardino pieno di piante, un tempo verdeggianti e diligentemente tagliati in siepi, non esiste più. Al suo posto ci sono cartacce, cumuli di plastica, sterpaglie, rami secchi divelti, escrementi di cani lasciati in libertà dai loro ineffabili padroni, qualche siringa, ghiaietto  sparso in quelli che furono i marciapiedi e gli spazi cementati adibiti ai tavolini e agli ombrelloni.
Mi sono informata delle ragioni di tale scempio. Mi è stato riferito che il caffè del parco è di proprietà del comune di Quartu  Sant’Elena. E, nella prospettiva di far cassa, i decisori politici hanno stabilito di vendere questo spazio al miglior offerente. Nel frattempo hanno intimato ai giovani gestori il rilascio immediato del locale.
A questo punto una domanda: per quale recondito motivo il Comune di Quartu Sant'Elena ha ritenuto opportuno lo sgombero immediato dell’area in attesa dell’eventuale vendita non si sa a chi né quando?
Sarebbe stato troppo macchinoso lasciare la gestione del locale ai giovani di cui sopra fino a vendita effettivamente avvenuta? Quale prezzo di mercato potrà essere richiesto ad un locale che nel giro di due mesi si è trasformato da ridente e ameno luogo d’incontro a orribile carcassa scheletrica e sporca di un " fu-caffè del parco"?

E’ chiaro che la mia logica di persona comune, abitante-per-caso di questo quartiere, sia poco perspicace, ma francamente mi risulta difficile spiegarmi questo andazzo della cosa pubblica con un pizzico di buon senso comune. Non c’è proprio alcun buon senso. Anzi, non c’è proprio un senso.

Pubblico qui di seguito la risposta del Sindaco di Quartu S.E. al quale ho segnalato il post sopra citato:

Gentile sig.ra Giannalia,
i miei collaboratori hanno ricevuto la Sua mail e mi hanno segnalato il Suo blog. Nel complimentarmi per lo stile brillante e piacevole del Suo intervento, devo farle presente che la chiusura del Caffè del Parco non è stata una scelta scellerata dei soliti amministratori pubblici miopi e burocrati: semplicemente, la società che gestiva il caffè è fallita, e il curatore fallimentare ha restituito la struttura al proprietario, ossia il Comune. Il quale, non potendo occuparsi direttamente anche della gestione di un bar, attualmente sta alienando l'immobile. Nessuna logica perversa, quindi, ma solo una vicenda un po' intricata e spiacevole per tutti i soggetti coinvolti, lavoratori in primis.
Ringraziandola per l'attenzione, e confidando che vorrà inserire questo mio chiarimento nel suo blog, Le porgo i miei più cordiali saluti.

Mauro Contini, sindaco di Quartu Sant'Elena.

giovedì 13 marzo 2014

Cinque minuti






E’ piacevole alzarsi al mattino con il suono della radio-sveglia e farsi accompagnare dal programma preferito nel corso della prima colazione. E’ un modo per iniziare bene la giornata, riconciliarsi col mondo, e, a seconda delle preferenze di ciascuno, rilassarsi o ricaricarsi per affrontare una nuova giornata di lavoro.
Noi donne in particolare abbiamo bisogno di questa mezzora di solitudine mattutina ( a giudicare anche dalle mie amiche che condividono questa pratica) per raccogliere idee buone da spendere nel corso delle giornate che non lasciano un attimo di respiro, tra tutte le incombenze pragmatiche alle quali l’abitudine non è ancora riuscita a togliere quella patina di pesantezza che tutti a casa, figli e soprattutto marito, si sospettano neppure. Che le donne siano multitasking ormai è un fatto assodato, lo scrivono persino nei settimanali a un euro, tanto che conosciamo perfettamente il significato della parola, come , viceversa, non potremmo giurare di conoscere il corrispettivo  italiano. Siamo sommersi da badilate di spending rewiev, twitter, post, scannering, trendy, hair style, bag, coffee, meeting, piercing, facebook… e ci aggiriamo tra queste parole con la sicurezza baldanzosa e l’orgoglio di chi sa di essere parte di una comunità mediatica che si autosostiene e si autogratifica nel gruppo perché nel gruppo si identifica e dal gruppo prende ispirazione.  E questo ci rassicura. Molto. Ognuno certo ha i suoi gusti, ma la radio offre trasmissioni per tutti i palati specie quelli più forti. Un po’ meno per quelli più , diciamo, esigenti.
Ma c’è una cosa che è veramente democratica, assolutamente egualitaria, indifferenziata e nella sua banalità, addirittura sublime: la pubblicità.
Fanno impazzire gli stacchi pubblicitari che durano più delle trasmissioni. Spesso non si capisce se è la pubblicità ad intervallare le trasmissioni o sono le trasmissioni che fanno da stacco alle varie pubblicità. 
Tra queste ultime ce n’è una che veramente mi colpisce ogni mattina  per l’ineffabile pregnanza delle parole utilizzate coraggiosamente in controtendenza. Sono tutte parole della nostra lingua madre e tutte di alto spessore semantico.

Alle otto del mattino , nella pubblicità radiofonica, questa è la conversazione tra due (si presume) sposi o compagni di vita:

Lei: “ Freddo, freddo, freddo!”
Lui:   “ Dammi cinque minuti!”
Lei:    “ Fame, fame, fame!”
Lui:    “Dammi cinque minuti”

E qui segue il disvelamento del nome del prodotto in grado di soddisfare in cinque minuti le estreme esigenze della signora (trattasi di un forno a legna ad uso domestico in grado di preparare le pizze in cinque minuti, appunto). E infine , veramente sublime, la chiusa:

Lei:     (con voce seducente) “E adesso ce l’hai cinque minuti per me?”

Ovviamente non conosceremo mai la risposta di lui che si presume possa andare dall’accoglimento  della proposta con ribaltamento immediato di forno e pizza,  al disdegno più totale, vista magari la fatica da superman autoimpostasi per accendere il fuoco, impastare la farina, mettere il condimento per la pizza, infornare, servire, tutto nel tempo record di cinque minuti. Appunto. Rimane però il messaggio  evocato dal sottotesto: se ti mostri in grado di procurarmi caldo e cibo in tempo record, io ti concederò tutte le mie grazie per tutto il tempo che ci vuole.
Quale immaginario stimola questa pubblicità? La donna-principessa lobotomizzata che si deve curare solo di piacere al suo principe il quale è in grado di soddisfare tutti i desideri. E per fare consolidare ancor meglio questo concetto, qui non si usano più le parole inglesi che fanno tanto trendy, ma quelle del vocabolario-base della lingua madre. Così, tanto per essere sicuri che il messaggio passi per benino e trascorra senza intoppi attraverso tutte le intelligenze. Un minimo comune denominatore sociale.

Democratico, appunto.

lunedì 10 marzo 2014

Badanti



Grosse, vistose

dentro  pellicce
sotto il sole decembrino
scherzano parlottano ridono
stanno  al sole
sulle panchine della darsena
divorano panini al formaggio
arance succose
e acqua minerale

Raccontano di vecchi malati
noiosi
di figli distratti e assenti
di vaglia postali inviati
nei mattini assolati

Desiderano notti d’amore
con l’uomo lasciato
nelle fredde città
soffrono le malinconie
di livide notti
di albe scure
nei letti disfatti
delle loro città
lontane nella gelida
altra Europa.

Sorrisi di bimbi
lasciati in altre mani
strizzano l’animo
a  farlo gemere di pianto

e sorridono
alle amiche
parlando
lingue  nascoste
suoni soavi
accolgono stille 
nell’urgenza comune
del bisogno  d’amore.

Maria Rosa Giannalia dalla raccolta "Ombre sonore" 2008

domenica 2 marzo 2014

Le bocche



…anche stasera guardiamo la TV...
quanti bei morti su quella strada!
Una bomba?
No! E’ solo il tappo
dello spumante che veloce
schiocca  tra le mani
di giovani felici della festa
che  accende i visi
cremisi di sangue
e impasta
la strada
e trabocca
di bocca in bocca
bocca allargata
nel pianto eterno
lamento di madre
bocca squarciata
dal bieco sorriso
bocca stupita
bocca segnata
da rughe infinite
bocca ammaccata
dal rantolo cupo
del bimbo soldato
che canta la guerra
bocca affannata
 in tante parole
dell’uomo cieco
che spiega la guerra
bocca saldata
urlo silente
di tante donne
vestite di nero
bocca impedita
bocca negata
bocca murata
nel cimitero.




 Maria Rosa Giannalia dalla raccolta Pantacacà,  Quartu S.E.,2006