Recensione di Maria Rosa Giannalia
Si tratta di un’opera assai complessa ancorché breve:
nella finzione letteraria del protagonista morente che convoca un famoso scrittore presso di sé nella sua
casa in Toscana, per raccontargli la sua vera esperienza di partigiano affinché
egli, lo scrittore, possa scriverla e serbarne memoria, l’autore coinvolge
totalmente il lettore trascinandolo con
sé attraverso tutta la rivisitazione che
egli intende fare delle sue esperienze amorose, politiche e di combattente
partigiano. Tutto ciò solo ed esclusivamente dal suo mutevole punto di vista.
Questo patto narrativo, una volta accettato dal
lettore, risulta estremamente vincolante per quest’ultimo: non gli permetterà
più, una volta iniziata la lettura , di perdere il bandolo della matassa, costringendolo a seguire tutte le evoluzioni
narrative che il protagonista intraprende con la tecnica del flusso di
coscienza.
Il protagonista, malato terminale, sul suo letto di
morte, in preda a pochi momenti di lucidità intervallati da altri straniati e
distorti dalla morfina, inizia il suo racconto.
E’ un racconto allucinato, in cui egli ripercorre
tutta la sua esperienza di partigiano a partire dalla guerra in Grecia dove era
stato mandato come militare fascista,
quindi come “invasore” fino ad arrivare, attraverso una serie di azioni di guerra, quasi tutte individuali, a
rifiutare la logica di quella guerra cui il suo paese, l’Italia fascista, lo
aveva costretto, per schierarsi quasi subito a fianco degli “invasi” quando, in
Grecia, uccide un militare nazista che si era reso protagonista di un atto di
estrema crudeltà sparando prima ad un ragazzino e poi ad una vecchia.
La sua vicenda si conclude in Italia dove combatterà da partigiano contro i
nazifascisti e riuscirà ad annientare un intero plotone di nazisti praticamente da solo meritando la
medaglia di guerra e il titolo di eroe.
Queste imprese sono strettamente intrecciate agli
amori della sua vita: due donne, la greca Dafne (chiamata anche Mavrì Elià), e l’americana Marilyn (chiamata anche
Rosamunda/Guagliona), donne che il protagonista ha amato in modo diverso e che
hanno segnato la sua vita e infine anche la tedesca Frau, amica/governante che
lo assiste con un ruvido amore fraterno per tutto il corso della sua vita nella
casa in Toscana in cui egli si ritira, la casa dei suoi genitori.
La narrazione ha un percorso ricorsivo: i temi,
innumerevoli, che vengono proposti via via, non si esauriscono in una singola
analisi, ma ricompaiono continuamente componendosi e frantumandosi e
ricomponendosi in immagini sempre nuove come all’interno di un caleidoscopio
che mostra prospettive continuamente diverse dalle quali potere evincere una lettura
molteplice.
E così il flusso narrativo permette al protagonista
di parlare della valenza della scrittura:
"…E
invece il mondo è fatto di atti, azioni… cose concrete che però poi passano,
perché l’azione, scrittore, si verifica, succede… e succede solo in quel
preciso momento lì, e poi svanisce, non c’è più, fu. E per restare ci vogliono
le parole, che continuino a farla essere, la testimonino. Non è vero che verba
volant. Verba manent. Di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che fummo, restano
le parole che abbiamo detto, le parole che tu ora scrivi, scrittore, e non ciò
che io feci in quel dato luogo e in quel dato momento del tempo. Restano le
parole… le mie… soprattutto le tue… le parole che testimoniano. Il verbo non è
al principio, è alla fine, scrittore. Ma chi testimonia per il testimone? Il
punto è questo, nessuno testimonia per il testimone… Felice, infelice, sai, non
è questo il problema che mi pongo, scrittore, quello che mi consola è che nella
grande addizione, nella vostra odiosa addizione piena di cifre, io non ci
figuro come un’unità fra tutte le altre, nella somma non sono stato contato,
bene, mi volevate pari ed ero dispari, vi ho fatto sbagliare i calcoli… È la
mia poesia del lunedì, o del martedì… quella della domenica l’ho dimenticata
perché non mi piaceva, e ti regalo questa…
Della libertà
e di quanto inganno ci sia nell’imposizione della libertà:
"…un uomo
libero, la tua parola è sacra e nessuno può distruggere la tua parola, e questa
è la vera libertà, è per questo che ci siamo battuti fin da sempre tutti noi
che amiamo la libertà, affinché tu possa parlare, affinché tu possa esprimere
il tuo pensiero libero, parla, la mia civiltà te lo permette, tu sei qui per
parlare, devi parlare, apri la bocca, scaccia le mosche dalla bocca e parla,
non mi guardare con quello sguardo ebete, fammi il piacere,"
Della storia
e del suo significato intrinseco e anche del suo valore per l’individuo:
Ma perché
mai dobbiamo pensare che la vita sia o così o cosà, te lo sei mai chiesto,
scrittore? Io credo che te lo sei chiesto, e forse è per questo che ti ho
chiamato. Ma lui a quel tempo il futuro lo vedeva diviso in due, perché pensava
che la storia fosse divisa in due, idiota, non sapeva che la storia la facciamo
noi, ce la costruiamo con le nostre mani, è una nostra invenzione, e ne potremmo
fare un’altra, se solo volessimo, se solo non ci lasciassimo convincere dalla
storia che lei è o così o cosà, se solo avessimo la forza di dirle, signora
storia, lei non è niente, non faccia tanto l’arrogante, lei è solo una mia
ipotesi, e se non le spiace ora la invento come preferisco. Ma per dire questo
bisogna essere vecchi, e inutili, quasi cadaveri come sono io, quando hai
capito che lei era un’illusione, un fantasma, ormai non puoi più farla, è già
stata fatta. La storia è come l’amore, è una musica, e tu sei il musicista, e
mentre la suoni sei di un’abilità enorme, un interprete che soffia a pieni
polmoni nella sua trombetta o sfrega con rapimento il suo archetto sulle corde…
magnifico, un’esecuzione perfetta, applausi. Ma non conosci lo spartito. Quello
lo capisci dopo, molto più tardi, ma ormai la musica è svanita…
E di tanti altri aspetti esistenziali fino al più
importante di tutti, l’ultimo, la paura e il senso della morte:
La vera
paura è quando l’ora è fissata e sai che sarà inevitabile…è una strana paura,
si prova una sola volta nella vita, e non si proverà mai più, è come una
vertigine, come se si spalancasse una finestra sul niente, e lì il pensiero si
annega davvero come se si annientasse. E’ questa la vera paura…[…] C’è un amore
religioso della morte che ha qualcosa di necrofilo, quasi che si amasse più un
cadavere di un vivo…Una bella morte…la morte non è mai bella, la morta è laida,
sempre, è la negazione della vita…Dicono che la morte è un mistero, ma il fatto
di essere esistito è un mistero maggiore, apparentemente è banale, e invece è
così misterioso…
Infine due osservazioni riguardanti lo stile : non
ci sono nel testo figure retoriche che non siano necessitate ai fini
dell’efficacia narrativa. Ogni espressione, ogni parola, ogni verbo, sono
estremamente calibrati e inseriti in un tutto organico che collega
indissolubilmente forma e contenuto e porta il lettore a “sentire” il
protagonista narrante dal di dentro, a condividere i suoi stessi pensieri e i
suoi punti di vista, a perdersi insieme a lui in questo tourbillon di immagini
e emozioni , sentimenti ricorsivi che dicono e poi contraddicono ogni
affermazione, ogni analisi, ogni fatto.
E’ un libro , certo, difficile, ma a mio parere, è
uno di quei libri fondanti nella carriera di un lettore.
Nessun commento:
Posta un commento