Alla
fine del 2012 il MIUR ha bandito i concorsi a cattedra. Anch’io, insieme a
molti altri docenti, ho inviato una domanda richiedendo di far parte di una
delle commissioni giudicatrici. Ovviamente
tale domanda l’ho spedita dopo avere letto attentamente il bando e avere quindi
appreso che, per l’impegno che avrei dovuto sostenere, avrei percepito una
cifra forfettaria di pochissimi euro che nel bando non veniva neppure
esplicitata e di 0,50 euro per ogni compito corretto ( sì, avete letto proprio
bene: 50 centesimi a compito!).
Nonostante
le premesse mi sembrava una buona cosa dare la mia adesione e, poiché ero da
poco in pensione, mi è sembrato opportuno dare ancora un mio contributo perché
ho sempre lavorato nella scuola con grande passione e ho ritenuto trascurabile
interessarmi dell’aspetto economico della cosa.
Alla
mia commissione sono stati attribuiti duecentoquarantacinque concorrenti e
quindi, espletati gli scritti, ci sono stati assegnati duecento quarantacinque
compiti da correggere.
Il
concorso avrebbe dovuto essere svolto entro il mese di giugno del 2013, o
almeno così ci era stato detto. Infatti i commissari che hanno accettato di
continuare, dopo la valanga di rifiuti dell’incarico attribuito, speravano di
potere godere delle vacanze estive come
ogni lavoratore. Invece gli scritti si sono tenuti nel mese di marzo e le
correzioni, per motivi burocratici che non abbiamo capito molto bene, sono
slittati al mese di maggio e parte di giugno.
Per
correggere duecentoquarantacinque compiti, è necessario un tempo congruo, che
al netto delle pausa-pranzo e delle piccole pause-caffè, è andato a consistere
in circa cinque ore al giorno per una trentina di giorni. Ci avevano detto che
potevamo andare a mangiare in una tavola calda e che i pasti ci sarebbero stati
rimborsati.
Ora,
essendo noi docenti della commissione in maggioranza donne e non avendo
l’abitudine di ingozzarci di cibo, ma anzi di badare alla nostra dieta, abbiamo
mangiato il minimo indispensabile, pensando che, comunque, non avrebbe fatto
bene né alla nostra salute né alla nostra linea abbondare in cibo, in
considerazione che tavole calde non ce n’erano in prossimità della scuola che
ci ospitava o meglio una c’era ma con un tipo di cucina adatta più lavoratori
di mano che di mente. Così ci siamo accontentati di insalatine, qualche frutto
e talvolta, volendo esagerare, qualche pezzo di formaggio. Il tutto consumato
al ristorante di un albergo poco lontano dalla scuola. Ma questo non per tutti i giorni di correzione, ché anzi
molto spesso, parendoci cosa buona e giusta non allontanarci per più di una
mezzora al massimo, e, vista la crisi, di non pesare sul bilancio del MIUR, abbiamo
pensato di portarci da casa cibo da consumare direttamente nella stanza di
lavoro. Qui, infatti, allo scoccare
delle tredici stendevamo sul tavolo , previo accantonamento delle carte, delle
graziose tovaglietta all’americana sulle quali mettere i nostri piccoli
contenitori e i nostri bicchieri e
bottiglie d’acqua. Questo è ciò che abbiamo fatto per quasi tutti i giorni
dedicati alla correzione degli scritti. Solo quattro o cinque volte siamo
andate a mangiare al ristorante di cui sopra richiedendo ogni volta scrupolosamente regolare ricevuta fiscale, per
accluderla alla documentazione finale, fiduciose che, almeno, ci sarebbero
state rimborsate quelle piccole spese dei pasti.
Abbiamo
dunque lavorato per tutto il mese di aprile e a inizio maggio eravamo pronti ad
iniziare, seguendo la prassi indicata dal bando, gli orali per i quali avevamo
provveduto a stilare un apposito
calendario di circa quindici giorni, vista anche l’esiguità del numero dei
concorrenti da esaminare dopo la selezione degli scritti.
Ma
le nostre attese sono state abbondantemente… disattese e quello che doveva
essere un lavoro da concludersi entro fine giugno si è protratto, sempre per
inestricabili e inconoscibili motivi burocratici per tutto il mese di luglio e,
dopo la pausa di quindici giorni di ferie estive, per l’ultima settimana di
agosto!
Il
tour de force nostro e dei candidati, nel
caldo del mese di luglio cagliaritano non è stato certamente leggero: anche i
nostri già magri pasti ne hanno risentito e ci siamo permessi di uscire a
pranzo , sempre nel ristorante annesso all’albergo, sì e no, tre-quattro volte
in tutto. Per il resto abbiamo consumato le nostre insalatine dentro l’aula
messaci a disposizione con l’aria condizionata a tutto campo, poiché il mese di
luglio del 2013 rimarrà memorabile non certo per il concorso ma sicuramente per
il caldo sofferto dai malcapitati concorrenti.
Ma
insomma, espletate tutte le operazioni di rito, finalmente abbiamo concluso il
nostro lavoro, per quanto ci ha riguardato, ben fatto , con scrupolo e tutta la
professionalità di cui siamo stati capaci pur nell’atmosfera torrida
dell’estate cagliaritana.
Finalmente
siamo tornati ciascuno alle proprie incombenze e ci eravamo quasi dimenticati
della remunerazione dovuta, dei rimborsi e di tutto il resto. La nostra
professione infatti ha questo di buono: ci abitua fin da subito alla povertà,
alla parsimonia, alla considerazione che tutto ciò che il docente di scuola fa
durante il suo lavoro ha un valore così grande che non può essere retribuito in
moneta. E infatti non ci pagano, tutt’al più ci “mantengono in vita” fino
all’atto finale del pensionamento quando scopriamo che: a) tutti gli anni di
servizio non possono essere conteggiati ai fini della pensione né della
liquidazione per motivi così complessi che il solo atto di comprensione, esulando
dalle nostre competenze tese a esercitarsi in termini di formazione e di
cultura, ci distrugge psicologicamente e ci fa preferire rinunciare piuttosto
che impegnarci per avere giustizia in una lotta impari con il mostro dai
multiformi tentacoli della burocrazia scolastica; b) non tutti gli anni di
pre-ruolo che ci hanno visto percorrere chilometri e chilometri di strade per
tutta la Sardegna nell’arduo compito di raggiungere gli studenti di paesini
interni dell’isola, dove non arrivano neppure i mezzi pubblici, per cause
misteriose e inadempienze della burocrazia interna alle stesse scuole, non ci
verranno mai riconosciuti in termini monetari; c) la nostra pensione al netto
delle tasse si riduce a una somma pari solo, forse, a quella che riceve un
docente precario all’inizio della sua carriera.
Ed
è in questo spirito che finiamo per accettare tutto, anche il fatto che, come
sta accadendo purtroppo in questi giorni, gli insegnanti vengano pagati
a…sorteggio!
Poi,
giusto nel giorno del mio compleanno, mi è arrivato il bonifico da parte del
ministero.
Ho
deciso di rendere pubblico l’ammontare che il MIUR mi ha corrisposto per questo
lavoro che ho svolto ( ovviamente a me come, presumo, anche a tutti gli altri
commissari) riportando direttamente gli estremi del bonifico pervenutomi, in
modo che non ci siano dubbi. E i rimborsi dei
pasti? Neanche l’ombra, ovviamente.
Adesso
io desidererei invitare tutti i funzionari statali che svolgono consulenze,
incarichi e altro, a pubblicare nei loro blog o su un social network qualsiasi o anche in un quotidiano, le somme
che ricevono per lo svolgimento degli incarichi loro affidati. Magari scopriamo
di essere in buona compagnia e di non essere noi insegnanti i soli contro i
quali si esercita il sopruso di uno stato che discrimina tra figli e
figliastri?
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