Oggi
venerdì trentuno gennaio è giorno di spesa. L’ipermercato che frequento per
comodità di parcheggio e non per elezione di qualità, tanto son tutti uguali,
non è affollato. Scelgo un’ora centrale della mattinata quando so che la folla
delle massaie e dei consumatori non si è
ancora travasata dalle case e dal posto di lavoro nelle corsie delle
vettovaglie. Per la spesa settimanale non ho da fare molti acquisti, solo
alcune cose essenziali per le quali non c’è neppure stato bisogno della solita
lista che mi faccio sempre nella speranza di non tralasciare nulla che magari
possa servirmi e la cui dimenticanza mi costringa poi a precipitarmi in ore
impossibili nel negozio sotto casa. Mi
attardo, come sempre, nel reparto biscotti e dolciumi. Chissà perché ho una
particolare predilezione per questi articoli. Più che altro li guardo. Alcune
volte sono tentata, allungo la mano, prendo e metto in carrello. Giro un po’,
acquisto altre cose, poi mi pento e in un impeto di rigore contro me stessa
ritorno sui miei passi, riprendo l’oggetto del desiderio e lo risistemo nello
scaffale magari con un piccolo rimpianto. Mi sono data una regola, per me
difficilissima da osservare: niente dolciumi, niente superfluo, niente di tutte
quelle cose buone che fanno depositare solo dopo qualche settimana, rotoli di
ciccia nei posti più evidenti del corpo, mica solo dove sarebbe opportuno che
stessero, tipo gambe, braccia. Mai in questi punti, ma solo nel punto vita in
modo che nel giro di qualche mese il corpo possa assumere un simpatico aspetto
tipo scaldabagno. Dunque solo l’essenziale. E su questo non transigo. O per lo
meno non transigo quando sono da sola, perché se mi capita, ad esempio, di
andare con il mio goloso consorte allora è proprio finita: il carrello
strariperà del solo superfluo. Ma io non mi rassegno, ed è per questo che
insisto per andare da sola e ho scelto il venerdì mattina, quando tutti sono al
lavoro, persino lui.
Dunque
dicevo del mio girovagare per le corsie. Adesso che ho tutto il tempo, ho
deciso di dedicarmi con calma anche alle incombenze più ordinarie. Perché
affrettarsi? E’ una vita che mi affretto e in questo mio andar veloce mi son
persa chissà quanti momenti per osservare la gente, per interessarmi alla vita
degli altri, per ipotizzare e costruire vite da dettagli apparentemente
insignificanti.
Così
anche stamattina ho visto un’anziana signora scegliere dallo scaffale della
pasta la scatola più grande e meno costosa, la passata di pomodoro dentro una
lattina enorme che probabilmente andrà a male dopo neanche una settimana di
frigo. Il bancone dei salumi, al solito, alletta un discreto numero di
consumatori, in fila col numero taglia coda, in attesa del turno. Una signora
si lamenta del costo del prosciutto crudo pieno di grasso che non viene
eliminato prima della pesatura ma che lei, precisa, eliminerà a casa sua perché
alla linea ci tiene e anche al suo colesterolo. Pezzi di mortadella, di coppa,
di salumi vari che chiamano finalini, vengono ammassati in una cesta per essere
impacchettati e rivenduti a basso costo e comprati da chi non ha evidentemente
il problema del colesterolo o, forse, il borsellino non molto pieno. E ancora
reparto frutta e verdura: mele, pere, kiwi, ananas, banane, manghi e frutta
esotica di ogni tipo che straripa dalle ceste. Arance, mandarini, mandaranci e
limoni, frutta di stagione, che arriva dalla Spagna, dall’Argentina, da
Israele, dalla Sicilia, frutta che odora di stantìo. Pochissimi sono gli agrumi
sardi eppure anche qui in Sardegna noi coltiviamo gli agrumi e sono pure molto
buoni. Ma forse i decisori delle politiche alimentari dei supermercati
ritengono che, se non fanno il giro del mondo, anche gli agrumi non si
impreziosiscono per i nostri palati. L’acqua per esempio. Ci sono almeno dieci,
dodici tipi diversi di acque minerali.
Solo due o tre sono isolane. Per non parlare delle carni: persino i porchetti e
agnelli arrivano come i turisti nella
nostra isola. Comunque non vedo carrelli eccessivamente ricolmi intorno
a me. Una signora guarda con attenzione la carne prima di deporla sul carrello.
La gira tra le mani, la deposita, poi ci ripensa e la rimette a posto. Un’altra
signora con marito al seguito tiene tra le mani il volantino pubblicitario del
supermercato e va scegliendo meticolosamente tutte le offerte speciali fino a
colmare il suo carrello con montagne di pasta, pelati, merendine varie,
biscotti e un sacco di altra roba da tenere in serbo, evidentemente, per tutto
il mese. Nell’aria aleggia un odore fortissimo di pollo arrosto, eppure sono
molto lontana dal reparto rosticceria. Una volta qualcuno mi ha spiegato che ci
sono delle ventole apposite che spandono l’odore per tutte le corsie in modo da
invogliare i clienti all’acquisto. Su di me questo odore sortisce esattamente
l’effetto opposto. Ma io lo so che sono sempre in minoranza, un’eccezione a
tutte le regole, e quindi sono indotta a pensare che sì, magari hanno ragione
loro, i decisori delle politiche alimentari, abilissimi nella persuasione
occulta dei clienti. Penso proprio che sia così anche perché, finalmente vicina
alla cassa, vedo almeno quattro persone avanti a me che hanno acquistato per il
loro pranzo pollo e patate al forno, il tutto all’interno di contenitori di
alluminio grondanti di grasso e odorosi fino alla nausea.
Adesso
ho proprio ultimato i miei acquisti. Sono in fila alla cassa anch’io e aspetto
il mio turno. Vengo fulminata da un pensiero: il buono-sconto che la cassiera
mi aveva consegnato la settimana scorsa. Lo cerco nel borsellino, non lo trovo
subito, guardo meglio, niente da fare, non c’è. Eppure era uno sconto di cinque
euro su una spesa del costo di cinquanta euro. Sto per chiudere rassegnata la borsa, ma ecco che,
no, ecco è proprio qui inserito tra la patente e la carta d’identità. Lo tiro
fuori trionfante e lo tengo da parte per mostrarlo alla cassiera al momento del
saldo. Cinque euro di questi tempi non sono proprio da buttare, penso.
Finalmente tocca a me. La cassiera con le velocissime dita allenate mi fa il
conto: totale trentotto euro. Eh, no, il buono sconto non vale!
-Va
bene, dico, lo utilizzo la prossima volta.
-
No, fa la cassiera, lo sconto è valido solo fino ad oggi. Può andare ad
acquistare qualcos’altro, se vuole.
-
No, dico io, non voglio.
-
Va bene, allora mi dia pure il biglietto di sconto, lo darò ad un altro
cliente.
-
No, no, dico, preferisco darlo io stessa.
Un
po’ perché penso che, nella logica del commercio, probabilmente le cassiere
hanno avuto l’ordine di buttare via gli scontrini non utilizzati, un po’ perché ho veramente visto una signora cui avrebbe potuto far comodo. Quindi pago e
aspetto alla cassa. La signora che ho visto prima arriva finalmente anche lei. Ha un carrello pieno, è molto
probabile che superi i cinquanta euro, dunque potrà utilizzare lei il mio buono-sconto.
Mi avvicino con discrezione.
-Signora,
se vuole ho qui un buono che potrebbe servirle ad avere uno sconto di cinque
euro sul totale della spesa-. Glielo
porgo.
Lei
mi guarda con diffidenza e poi con un
filo di voce mi dice: - No, grazie.
Non
insisto, vado alla cassa successiva e propongo a due signori anziani un po’
male in arnese lo
stesso buono-sconto.
-
No, grazie-. Anche loro.
Non
mi arrendo. Penso che la multinazionale di quel supermercato non dovrà
risparmiarsi quei cinque euro che ha promesso ai suoi clienti dopo avergliene
sottratti chissà quanto nel corso delle spese di una vita. Insisto, quindi con
altre tre, quattro persone. La risposta è sempre la stessa. A questo punto, ho
esaurito quasi tutte le casse, non mi resta che andarmene e rinunciare a quella
che ritengo una sfida all’ultimo euro, impari certamente, ma consolatoria. Vedo
proprio di lato al mio carrello una signora molto elegante, con l’aria
tranquilla, che con calma sta riponendo nelle buste la merce appena acquistata.
Certamente mi dico, il mio buono-sconto con lei è proprio sprecato. In un
attimo tra buttarlo via e proporlo anche
a lei, prevale quest’ultima opzione, così, tanto per potere disporre di una
piccola statistica ad uso personale. Vi avvicino e sempre con discrezione le
chiedo se vuole approfittare del mio buono-sconto.
- Grazie-, mi
dice con un sorriso, sottraendomelo velocemente dalla mano.
Stupefatta continuo a guardarla riporre con gesti calmi e pacati i suoi acquisti nel
carrello. Si volta, mi saluta e se ne va.
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