La
nota ministeriale del 27 novembre 2014 http://www.edscuola.eu/wordpress/wp-content/uploads/2014/11/prot17436_14.pdf
rivolta dal Miur a tutte le scuole, propone
ancora una volta una formazione in reti consociate cui potranno afferire i diversi istituti per
convogliare risorse umane ed economiche e procedere ad una formazione dei
docenti cosiddetta “a cascata”.
I
docenti delle scuole italiane conoscono molto bene l’espressione “a cascata” e
quanto essa voglia significare in termini di
fattibilità e di efficacia. La formazione in rete è sempre in cascata,
vale a dire che è indirizzata alla formazione di uno/due docenti per scuola i quali poi, all’interno del proprio istituto, dovranno farsi carico di diffondere
capillarmente tra i colleghi quanto appreso durante la loro formazione all’interno
della detta rete di scuole.
Fin
qui la cosa non stupisce, in quanto
questo modello di formazione è stato quello più praticato da una trentina d’anni
a questa parte. Ma ha funzionato solo in minima parte e solo laddove la formazione è stata
organizzata in tutte le sue modalità e con tempi ben scanditi e
istituzionalizzati. Uno di questi esempi di formazione a cascata è stato, negli
anni 2005/2007, il Piano Nazionale Poseidon attivato dall’INDIRE che, a partire dai primi docenti formati in corsi
blended (in presenza e on-line) , ha visto, nella seconda fase, una effettiva ricaduta su un numero quadruplo
di docenti, rispetto al numero iniziale. Tale formazione era mirata ai docenti
dell’area linguistica E si trattava di
una formazione per docenti in servizio.
Chi volesse avere un’idea
precisa della strutturazione del modello di formazione del Piano Nazionale
Poseidon può andare a vedere il link: http://archivio.pubblica.istruzione.it/docenti/allegati/poseidon.pdf
Ma
già alla terza fase c’è stata una prima, notevole battuta d’arresto in quanto
non sempre e non tutti i docenti iscritti hanno concluso la loro formazione. E questo
ancora nella fase nazionale.
Dopo
queste prime tre fasi, il piano prevedeva la disseminazione delle competenze
acquisite al livello delle singole
regioni. Non so come sia andata nelle altre regioni in Italia, ma so che, per
esempio in Sardegna, regione di cui ho esperienza personale, questa ultima fase
è stata pressoché fallimentare. I numeri ufficiali possono essere controllati nelle
sedi degli Uffici scolastici regionali.
Questo
Piano Nazionale Poseidon, concepito con
l’ausilio delle associazioni disciplinari in collaborazione con esperti sia
universitari che della scuola media, e con le risorse dei fondi strutturali europei
per i PON, ha messo in campo una formazione di altissima qualità sia nel merito che
nel metodo. Prova ne sia il fatto che tutti i docenti che vi hanno partecipato
e che hanno portato a termine la loro formazione, se ne sono molto giovati per
l’acquisizione di competenze professionali elevate, che nella quasi totalità
dei casi ha portato ad un miglioramento nella ricaduta didattica delle
discipline insegnate.
In
questo modello di formazione c’è stata la confluenza tra competenze disciplinari
da parte dei formatori e buona volontà e determinazione da parte dei docenti
formati che non si sono arresi di fronte alle difficoltà iniziali di vario
venere ( ad es. competenze informatiche richieste, cariche di lavoro, quantità
di ore previste e obbligatorie di formazione e impegno individuale a cambiare mentalità e a mettere a
disposizione degli altri colleghi le proprie abilità e competenze).
Non
mi sembra esagerato affermare che tale formazione è stata, insieme a pochi
altri progetti nazionali di formazione, quella che può ritenersi a buona
ragione, una formazione di eccellenza.
Ci
sono stati altri piani di formazione dei docenti in servizio a livello
nazionale, per es. i progetti DIGIscuola, dimensionati a livello regionale, ma
non hanno certo avuto il medesimo impatto metodologico e didattico del Piano Poseidon
citato.
Innumerevoli
sono poi stati i progetti di formazione
messi in atto o da singole scuole o da reti di scuole, ma per quanto
riguarda la mia esperienza quasi quarantennale , non ho mai sentito i docenti esprimere
pareri positivi che testimoniassero l’efficacia di queste tipologie di
formazione.
Io
credo che al docente interessato e desideroso di affinare le proprie
competenze, interesserebbe molto una formazione mirata, possibilmente di tipo
disciplinare, che lo possa mettere in grado di acquisire e padroneggiare gli strumenti didattici finalizzati all’insegnamento.
Personalmente
ritengo che sia questo il tipo di formazione che serve ad un docente in
servizio. Tutte le altre attività che rimandano agli aspetti organizzativi
delle attività scolastiche in generale, non sono, o meglio, non debbono essere
di competenza specifica ( o peggio, unica ) dei docenti. Possono invece essere affidati magari ad altri docenti che , per scelta, rinuncino ad una parte di ore di insegnamento per dedicarsi ad attività di tipo organizzativo. Non credo sia efficace che un medesimo docente si faccia carico contemporaneamente di svolgere attività didattica e altre attività organizzative, che, richiedendo grande impegno e dispendio di tempo, fatalmente lo portano a distrarsi dal compito specifico della didattica.
Per
lo specifico e altissimo ruolo educativo che il docente assume nel momento in
cui insegna in classe, egli deve essere competente non solo nella disciplina
che insegna, ma anche nella modalità didattica da mettere in campo per fare in
modo che gli alunni apprendano. E
prima di tutto apprendano lo specifico
disciplinare. E’ questo il primo
compito del docente. E credo possa essere anche l’unico. Poiché solo
nell’apprendimento di qualità, l’alunno potrà affinare le sue competenze e
padroneggiare a sua volta gli strumenti che lo metteranno in grado di gestire
le proprie conoscenze e competenze con
spirito critico e di sapere orientarsi e organizzarsi in autonomia per tutto l’arco della sua vita.
E
allora, ritornando alla nota ministeriale del 27 novembre 2014, quale modello
di formazione viene previsto dal MIUR? Basta scorrere nell’allegato A della
citata nota min. per vedere che nessuna voce specifica è stata riservata alla
formazione nella didattica disciplinare. Si parla di tutt’altro.
Nei
singoli punti in cui vengono declinati nel dettaglio le aree di interesse della formazione (
nell’allegato indicati con a, b, c, d, f, g, ) si parla di orientamento, di
collegamenti con gli enti pubblici, di formazione dei docenti sulle tecnologie
informatiche etc…, ma non una sola parola viene spesa per la formazione sulla
didattica degli specifici disciplinari.
Si potrà obiettare: questo
è l’ambito che riguarda la formazione iniziale dei docenti.
Ma qual è l’attuale
percorso di formazione iniziale?
Il
Miur dopo avere chiuso le SSIS, di cui
parlerò qui di seguito, e dopo alcuni anni di interregno, in cui veniva sospeso
il percorso SSIS in attesa di un nuovo e
definitivo percorso istituzionale, ha attivato il cosiddetto TFA (Tirocinio Formativo Attivo) inserito nell’ultimo biennio
della laurea magistrale, in cui i futuri docenti fanno esperienza di tirocinio
direttamente nelle scuole sotto la supervisione di un Tutor docente (a scuola)
e un tutor organizzatore ( all’università) . Questo percorso ha sostituito le SSIS ( Scuola di
Specializzazione per la formazione
degli Insegnanti nella scuola Secondaria) che prevedevano un percorso biennale di
formazione post-lauream.
Le
SSIS erano il luogo attivo in cui i futuri docenti dedicavano tutto il loro
tempo ad imparare ad insegnare. Esse prevedevano due momenti di formazione: una
teorica, riservata ad insegnamenti di discipline di area comune ( psicologia,
pedagogia, didattica generale, …) affidata ai docenti universitari, e l’altra
interamente dedicata al tirocinio. Questa parte era a sua volta suddivisa in
due momenti: il tirocinio osservativo ( detto anche diretto), da svolgere direttamente a scuola dentro le classi insieme al
docente delle classi stesse, che assumeva il ruolo di tutor nei confronti del
tirocinante, e il tirocinio elaborativo ( detto anche indiretto), sotto la direzione di un docente supervisore
esperto in didattica disciplinare, in
cui i futuri docenti discutevano criticamente, analizzando e rielaborando i
percorsi didattici osservati in classe, di tutte le dinamiche poste in essere
all’interno delle classi, dinamiche che si determinavano all’interno delle
attività didattiche quotidiane nelle classi osservate. Ed essendo questo un
lavoro di osservazione reale e diretta, poteva servire, e in effetti serviva,
da materia prima per la
rielaborazione critica dell’attività di classe, cioè di tutti gli aspetti,
didattici, pedagogici, psicologici, relazionali, prossemici e della
valutazione. Vale a dire un patrimonio di materiali autentici su cui i futuri
docenti potevano strutturare la loro formazione reale. Tale formazione
prevedeva alla fine del percorso, un’assunzione di responsabilità con la classe
osservata: ogni tirocinante coronava la fine del suo percorso con lo
svolgimento di una unità di apprendimento rivolta alla classe osservata,
durante la quale il tirocinante avrebbe messo in atto quanto appreso fino a
quel momento.
A
parte le critiche, talvolta giustificate, rivolte a alcuni insegnamenti
generalmente universitari che mostravano di essere dei doppioni rispetto agli stessi
insegnamenti seguiti nel percorso di laurea, le SSIS rispondevano efficacemente
alla loro finalità: preparare i futuri docenti al non facile compito di
insegnanti, direttamente sul posto, cioè nelle scuole, e attraverso lo studio e la pratica di tutte
le attività connesse al ruolo docente.
Non
saprei dire quanto di tutto quel patrimonio sia rimasto nell’attuale percorso
del TFA, che oltretutto viene svolto all’interno dei due anni del corso di
laurea magistrale e sicuramente con un numero di ore molto ridotto. Rimane
indubbiamente provato che i docenti, dopo il percorso delle SSIS, acquisivano
una esperienza didattica in grado di eliminare quel grande gap esistente tra
chi , dopo il conseguimento della laurea, andava direttamente ad insegnare, magari
dopo un concorso nazionale o regionale, senza alcuna esperienza sul campo, e
chi invece andava ad insegnare dopo avere fatto questo percorso di formazione
così impegnativo ma anche professionalmente efficace.
Osservare
tutto ciò è facile, basti vedere nelle scuole le modalità con cui si
relazionano con le classi i docenti formati e i docenti non formati. Poiché,
ahimé, come spesso avviene in Italia, ci sono sempre diversi canali di ingresso
anche nel mondo della scuola: quelli che arrivano attrezzati a proprie spese e
con grande fatica e preparazione e quelli invece che arrivano direttamente dopo
i concorsi a cattedra, magari bravissimi per quanto riguarda gli specifici
disciplinari, ma senza alcuna preparazione nel merito della didattica.
Perché,
e questo ogni docente esperto lo sa molto bene, un conto è sapere e un conto è
sapere insegnare quello che si sa. Non sempre tutto quello che si sa si riesce
ad insegnare, ma tutto quello che si sa insegnare bene, costituirà il
patrimonio comune e duraturo della nostra società.
Tornando
quindi alla nota ministeriale di cui sopra, lo stesso linguaggio del documento,
confuso e difficile anche nelle strutture sintattiche, non prelude a buoni ed
efficaci risultati, perché si vede chiaramente, come ha ben dimostrato l’efficace
articolo di Rita Bortone http://www.scuolaeamministrazione.it/it/category/rubriche/didattica-e-organizzazione/
dall’inequivocabile
sottotitolo: Disonestà
di lingua, vuoto di idee o che altro?, manca
una vera e chiara idea di formazione. Ma ciò
che soprattutto manca è la volontà di non investire risorse finanziarie reali nella scuola , in mancanza delle quali
qualsiasi discorso risulta davvero privo di sostanza. E anche molto deprimente.
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