La foto viene da qui
racconto di Gianfranco Bognolo
25 settembre 1984
C’era la prima del Prometeo di Luigi Nono quella sera. La
facevano alla chiesa sconsacrata di San Lorenzo a Venezia, la struttura era
stata progettata da Renzo Piano.
Le sirene dell’acqua alta avevano già suonato ma nulla mi avrebbe fermato dall’andarla a vedere. Non c’erano biglietti da acquistare perché era su invito. Perciò avevo smosso mari e monti per avere quell’invito e ce l’avevo fatta: mi avevano assicurato che bastava recarsi all’entrata, dire nome e cognome e mi avrebbero fatto passare.
Le sirene dell’acqua alta avevano già suonato ma nulla mi avrebbe fermato dall’andarla a vedere. Non c’erano biglietti da acquistare perché era su invito. Perciò avevo smosso mari e monti per avere quell’invito e ce l’avevo fatta: mi avevano assicurato che bastava recarsi all’entrata, dire nome e cognome e mi avrebbero fatto passare.
Mentre salivo sul vaporino, mi avvolse un vento caldo e lugubre di scirocco che mi accompagnò per tutto il tragitto . Arrivai in campo
san Lorenzo. Era pieno di gente, di quella gente che conta: gli
intellettuali, i politici, i giornalisti, i nobili , insomma la granda
magnaria al completo.
Mi avvicinai all’entrata e dopo una lunga coda dove c’erano
altri disgraziati come me che vedevano passargli avanti il gran mondo, arrivai
sul portone. Una signora con fare disgustato mi chiese a che titolo mi
presentassi al suo cospetto. Avevo voglia di usare le stesse parole
dell’uomo di fronte alla Legge di Kafka, ma mi uscì, flebilmente, solo il mio
cognome e nome, come all’appello alla scuola elementare.
La signora fece finta di scorrere una lista che aveva in mano e dopo un po', trionfante, mi disse che non c’era nessuno con questo nome e cognome e che quindi non potevo passare.
La signora fece finta di scorrere una lista che aveva in mano e dopo un po', trionfante, mi disse che non c’era nessuno con questo nome e cognome e che quindi non potevo passare.
Non dissi nulla. Non cercai nemmeno di recriminare un po'. In qualche modo mi aspettavo che sarebbe andata così. Vedevo tutti gli altri
passare senza che la signora scorgesse la lista: cosa serviva di fronte a
questi nomi altisonanti? E stavo lì come un baccalà.
Cominciò a piovere, sentivo che non sarei mai riuscito a
muovermi e tornare a casa.
Capii, in quel momento, che sarebbe sempre stato così, che
sarei sempre venuto dopo quella gente anche se fossi stato cento volte meglio
di loro, anche se avessi avuto tutto il diritto per passare prima di loro.
Capii che ciò che io ero non contava, che contava da dove venivo, qual era la mia famiglia, qual era il mio censo.
In un flashback vidi mio padre e mia madre immortalati in quelle foto in bianco e nero, appena sposini, in viaggio di nozze a Sirmione sul Garda.
Ad un certo punto, non so come, mi trovai giù dalla
scalinata di accesso mentre, come in Kafka, chiudevano la porta e davano inizio
alla rappresentazione.
Le sirene dell’acqua alta suonarono di nuovo. Traversai il
ponte e mi girai indietro per un’ultima volta. Si sentivano gli echi di suoni
lontani: forse sarebbero piaciuti a Luigi Nono, ne avrebbe fatto una
composizione …
Mi risuonava in testa la frase di Verga sui VINTI in quel
meraviglioso prologo dei Malavoglia.
Arrivai a casa bagnato fradicio dalla pioggia che mi aveva
accompagnato per tutto il ritorno: la Giudecca, nomen omen.
Mi cambiai, mi sedetti al mio
tavolino e lessi Dante:
Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
ma per seguir virtute e canoscenza
Giurai a me stesso che non avrei mai più vissuto
un‘esperienza del genere.
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