di Gianfranco Bognolo
Fu un’indimenticabile stagione di grazia quella! Tutto
sempre in accordo, tutto scorreva in armonia in quella Venezia della seconda
metà degli anni ’70 e i primi anni ottanta. Il mondo passava per di la, ogni
momento, ogni attimo assumeva una carica magica.
Parlavamo di tutto, pensavamo di tutto, niente potevamo
lasciare inesplorato: dal Buddha allo Zen, da Wim Wenders a Blade Runner, da
Brian Eno a Riuichi Sakamoto e David Sylvian, da Karl Marx a Nietszche, da
Mondrian a Klee, Da Conrad a Dostoieskj, da Pasolini a Baudelaire.
Tutte le Biennali erano nostre: ogni mostra, ogni dibattito,
ogni proiezione … Ogni concerto, ogni pièce musicale …
scoprivamo Mahler e Cage e Nono. La Fenice era un’incessante processione di
continue sperimentazioni.
Ci sentivamo … vivi. Bevevamo, mangiavamo facevamo all’amore
o non lo facevamo per niente … eravamo innamorati persi … eravamo in continuo
andare verso … .
Fino a notte fonda, fino al mattino a parlare di tutto … con
gli occhi pieni di gioia, pieni di lacrime …
L’architettura. Andavamo ad assistere alle lezioni di
Tafuri, di Dal Co. Ogni volta una nuova scoperta, una nuova emozione. Ogni
giorno si poteva andare ad un incontro ad un dibattito. E tutto era messo in
discussione.
A volte andavamo al cimitero di San Michele a visitare le
tombe di Stravinskj e Pound e piangevamo di felicità per ciò che ci avevano
consegnato.
Eravamo felici e disperati allo stesso tempo …
Mi ricordo una sera io e F. il mio unico vero amico andavamo
all’isola di Sant’Elena ad assistere al discorso di Berlinguer a conclusione
della festa nazionale dell’Unità. Eravamo elettrizzati per tutt’altro …
discutevamo di “takete e maluma” o se volete di tondo e triangolo, di dolce e
amaro, di tenero e duro ecc.
Io sentivo il mondo scorrermi dentro e guardavo F. mentre
continuava a parlare come uno sciamano.
La politica e l’economia, la storia e la filosofia ed
Hermann Hesse del “Gioco delle perle di vetro” … Castalia … dove avremmo voluto
arrivare anche noi …
Ascoltammo Enrico parlare di austerità, di uguali e diversi.
Ma noi sentivamo solo il suono della sua voce scollegato dal contenuto … e ci
pareva un lama tibetano che recitasse il mantra “Om mani padme hum”.
Finito il discorso, tornammo indietro a piedi fino a San
Marco.
La mattina dopo capii mentre in vaporino andavo a lavoro che
era finita una stagione … che non sarebbe più stato così … “L’ultima estate di
Klingsor” … era davvero finita…
Qualche giorno dopo ci raggiunse la notizia che Berlinguer
era morto a Padova.
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