di Giuseppe Perricone
Queste erano orazioni
che la madre gli aveva insegnato da bambino e si potevano recitare soltanto in
rarissime occasioni come gravi calamità naturali o per scongiurare eventuali presenze malefiche soprannaturali. E ora, secondo Gaspare, si stava verificando
la seconda delle due condizioni: Rosina era vittima d'i Spirdi!
Il pover'uomo, con le lacrime agli occhi,
trepidante per la sorte della figlia, si segnò e sommessamente prese a
recitare:-
Unu: supra di Diu 'un ci pò nissunu.
Dui: i tavuli chi purtò Mosè d’u munti Saia (Sinai).
Tr:i i pirsuni d'à Santissima Trinità.- [1]
Si fermò un istante come a voler prendere
fiato e, in crescendo, con un tono di voce man mano più stentoreo, riprese:
Quattru: Evangelisti: Luca, Marcu, Giuvanni e Mattiu.
Cincu: li chiai di nostru Signuri Gesù Cristu.
Sei: i missi chi Diu dissi.
Sett:i i cannili c'addumanu in allirìa 'nnanzi alla Vergini Maria.
Ottu: cori d'Ancili.
Novi: armuzzi giusti.
Deci: i Cumannamenti di Diu.
Unnici: i rai du suli.
Durici: i paroli d'à virità!!! [2]
Le ultime frasi furono
pronunciate con veemenza e rabbia.
L'orazione sortì l'effetto sperato.
Infatti Rosina sembrava tornata quasi alla normalità. Ora il suo
corpo era scosso da singulti, teneva gli occhi e la bocca chiusi e calde
lacrime liberatorie le inondavano il viso.
Gaspare si chinò vicino a lei e per prima
cosa, non senza una certa fatica, le liberò le mani che teneva ancora
fortemente serrate alle traverse della sedia, poi, finalmente la tirò fuori
dalla sua prigione.
Quando la bimba fu liberata, anche lui si
accasciò per terra. La prese in braccio e con lei stretta fortemente al petto
rimase a lungo in quella posizione carezzandole i capelli e il viso e
chiamandola dolcemente per nome. Ad un tratto il tocco leggero e delicato di
una mano sulla spalla lo fece sobbalzare.
- Papà...! Papà...! Che
ha Rosina? Che le é successo? - Era Ciccio, con ancora il coltello in mano;
dietro di lui veniva Damiano col piccolo Andrea addormentato fra le braccia.
Solo allora Gaspare si rese conto del tempo trascorso;
infatti, osservando la candela accanto a sé, si accorse che ne restava ormai
soltanto un mozzicone.
Si sollevò gravemente da terra con la figlia
che, anche se dormiente, non accennava ad allentare la stretta con cui gli si
teneva aggrappata al collo.
Quando si accorse che
Ciccio stringeva ancora il coltello nella mano e che continuava a scrutare
guardingo ogni anfratto della camera con atteggiamento timoroso e tuttavia di
sfida, non poté trattenersi dal sorridergli. Gli si avvicinò e con uno strattone
affettuoso lo strinse a sé. Notò pure le
guance rigate di pianto di Damiano che, impaurito com'era, cercava anche lui di
assumere un contegno il più virile possibile.
Gaspare era commosso. Li strinse teneramente a
sé e lasciando il residuo di candela a consumarsi in quella stanza, spingendoli con tenerezza, uscì di lì insieme a loro.
Quella notte dormirono
tutti nella grande stanza da letto che era perennemente illuminata dalla luce
fioca di uno stoppino acceso sotto un quadretto della Madonna.
Su disposizione del
padre, i due ragazzi, dopo aver adagiato Andrea nel letto grande, portarono due
materassi dalla loro stanza, li stesero per terra e vi si posero a dormire.
Damiano, dopo avere smaniato per alcuni minuti, finalmente, fu avvinto dal sonno.
Con la sua teneva stretta la mano del fratello maggiore, come a cercarne la
protezione con quel semplice contatto. Ciccio, invece, rimase seduto sul
materasso con le spalle appoggiate al muro e poté prendere sonno soltanto poco prima dell'alba.
Nel letto Rosina dormì in mezzo al fratellino
minore e al padre al quale rimase abbracciata tutta la notte. Lui, Mastro
Gaspare, invece non dormì affatto. Ogni qualvolta tentava di assumere una posizione
più comoda la bambina riprendeva a lamentarsi nel suo agitato dormiveglia. Ma
non fu solo questa la causa dell'insonnia dell'uomo. Molti pensieri gli si
affollavano nella mente.
Mastro Gaspare, sebbene in linea di massima
credesse in ogni tipo di manifestazione
del soprannaturale di cui é ricca la tradizione popolare locale, tuttavia era
un razionale; era di quelli che prima di accettare qualunque tesi doveva prima
cercare di saperne quanto più possibile e poi
ricercarne una spiegazione logica. Ma questo implicava dover consultare
la figlia ed era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Voleva evitarle il
ricordo dell'avventura appena vissuta, anche nel caso, in verità alquanto
improbabile, che l'avesse soltanto sognata. Ma come poteva essere stato un
sogno? Neanche l'incubo più realistico avrebbe potuto far sì che Rosina
s'imprigionasse da sola all'interno di quella sedia.
La sua mente era
assillata dai dubbi. L'unica cosa certa era che, per ogni evenienza, avrebbe
fatto benedire la casa dal Parroco. Poi ripensò all' "ottimo affare"
stipulato per acquistarla. Ecco perché i vecchi proprietari l'avevano ceduta a
così poco prezzo. Sapevano che era infestata !
Per circa otto anni quella casa era stata
disabitata, ma, stranamente, in paese nessuno ne conosceva il reale motivo. Si
era pensato che fosse stata abbandonata perché il proprietario che aveva dei
figli sposati che abitavano in città, avesse preferito trasferirvisi pure lui
per stare insieme a loro. Erano gente abbiente e possedevano diversi
appartamenti, alcuni dei quali sfitti. Non avevano avuto alcuna necessità di
vendere la casa del paese almeno fino a quando, venuto a mancare il vecchio padre,
gli eredi non decisero di disfarsene.
Questo era quanto si diceva in paese sui
motivi che avevano indotto i proprietari a cedere la casa a Mastro Gaspare, il
quale, invece, alla luce degli avvenimenti notturni di quegli ultimi giorni,
aveva ormai se non la certezza perlomeno il sospetto di essere stato raggirato.
Poi la sua mente tornò ai dubbi di prima.
Come avrebbe potuto conoscere quanto era successo in quella drammatica nottata
senza interrogare in proposito la figlia che ne era stata l'unica testimone? Infatti, se la piccola risvegliandosi non avesse ricordato più niente, con
quale coraggio le avrebbe riportato alla memoria il dramma notturno che aveva
vissuto?
Questi pensieri lo accompagnarono per tutta la
notte, fino a quando non si accorse che era giorno fatto dalla luce che filtrava
dalla finestrella nel camerino di Andrea.
Pian pianino scostò da sé Rosina e scese dal
letto cercando di produrre il minor rumore possibile. Decise che quel giorno
non si sarebbe recato al lavoro, avrebbe mandato al cantiere Ciccio, che già lo
coadiuvava, con le istruzioni per gli operai, ma quando stava per svegliarlo
pensò che si sarebbe rivelato un padre quanto meno insensibile se lo avesse
fatto, considerato che neanche il ragazzo aveva avuto una nottata tranquilla.
Infatti, ricordò di aver notato che fino a meno di un'ora prima era ancora
sveglio. Vedendolo ora dormire serenamente, seduto sul materasso e con le
spalle ancora appoggiate al muro, rinunciò all'idea.
Aveva appena finito di rivestirsi, quando
sentì bussare alla porta. Era uno dei suoi operai, mandato dagli altri ad
informarsi sulle cause del suo insolito ritardo e per apprendere eventuali nuove disposizioni in merito al
lavoro della giornata.
Mastro Gaspare gl'impartì alcune direttive e
gli disse che quel giorno non si sarebbe recato al cantiere né lui né il figlio
perché aveva la bambina che stava poco bene, e che egli stesso doveva
accompagnarla dal dottore, mentre Ciccio doveva rimanere a casa per badare agli
altri.
Congedato l'operaio, rientrò nella camera da
letto dove si aspettava di trovare i figli ancora addormentati, ma si accorse
che il grande non era più al suo posto. Infatti questi si era alzato, si era
vestito ed era già intento a lavarsi.
Gaspare lo raggiunse nel bagno e lo invitò a
tornarsene a letto per recuperare il sonno perduto, ma il ragazzo insistette
nella sua determinazione di recarsi al lavoro chè: - L'occhio del padrone ingrassa
il cavallo.- disse col tono di chi sentendosi già uomo maturo ne ha anche il
senso di responsabilità e il padre, fiero di lui, accondiscese al suo
desiderio.
Pensò che era meglio
lasciare riposare Rosina ancora un po’, di svegliare Damiano e Andrea e
mandarli da sua madre. Tutto questo per avere più libertà d'azione in casa.
Doveva venire a capo di quella vicenda che stava rendendo impossibile la vita
alla sua famiglia, anche se ancora non aveva la più pallida idea sul da farsi.
Prima svegliò Damiano
scuotendolo dolcemente per la spalla e poi, mentre questi si vestiva, preparò
la colazione; poi prese in braccio Andrea e, per evitare che il suo frignare
disturbasse Rosina, ancora addormentata, lo portò nell'altra stanza dove il caffellatte era già pronto nelle scodelle.
Consumarono la colazione
in silenzio, dopo di che Gaspare aiutò il piccolo a lavarsi e a vestirsi, e
rivolgendosi al più grande disse:
- Damiano, ascoltami. Porta ‘u picciriddu dalla nonna e rimani con
lui chè la nonna é anziana e non può stargli continuamente appresso. Mi
raccomando.
- Non ti preoccupare, papà, non lo lascerò un
minuto da solo, puoi stare tranquillo.
- E... senti...., un'altra cosa... Non dire
niente alla nonna di quello che é successo stanotte, se é il caso glielo
racconterò io stesso dopo.
Li vide allontanarsi tutti e due tenendosi per
mano.
Ogni tanto ‘u
nicu cercava di svincolarsi, per fermarsi o per correre verso qualcuno o
qualcosa che aveva attratto il suo interesse lungo la strada, ma il fratello
non gli lasciava spazio. Ogni volta che doveva trattenerlo da questi tentativi
di fuga, Damiano si voltava indietro per guardare il padre rimasto davanti la
porta di casa ad osservarli. Gli mostrava con quanta cura stesse ottemperando
ai suoi obblighi di fratello maggiore.
Gaspare non potè trattenere un moto d'orgoglio
nei loro confronti. Era fiero dei suoi figli. Per la prima volta li vedeva
sotto una luce diversa. Ormai Ciccio e Damiano non erano più quelli che fino a
poche ore prima aveva considerato bambini. Erano due ometti autosufficienti che
con molto senso di responsabilità cercavano di rendersi utili alla famiglia e
di proteggerla. Ciccio lo aveva dimostrato la notte precedente, quando, armato
di un semplice coltello era accorso in difesa del padre e della sorella, pronto
a lanciarsi contro chiunque attentasse alla loro sicurezza, sebbene anch'egli
fosse morto di paura. Quella stessa mattina aveva reso palese anche il suo attaccamento
alla famiglia avendo voluto recarsi necessariamente al lavoro, nonostante il
padre lo avesse consigliato di rimanersene a casa.
Damiano non era stato da
meno. Terrorizzato anche lui, aveva dovuto infondere coraggio al fratello
minore nel buio camerino di quest'ultimo e proteggerlo da qualcosa di cui
nemmeno lui aveva idea. L'atteggiamento da adulto che aveva assunto nell'assicurargli
con quanto scrupolo avrebbe accudito al fratello una volta in casa della nonna
denotava che anche il suo secondogenito possedeva un senso della responsabilità
non comune per un ragazzetto di nemmeno
dieci anni.
Mastro Gaspare aveva
veramente motivo di essere orgoglioso dei propri figli. Peccato che la loro
madre, Donna Giacinta, non potesse vederli, anche lei ne sarebbe stata fiera.
Rientrato in casa prese a rimettervi ordine.
Rimise al loro posto i materassi su cui avevano dormito Ciccio e Damiano e,
mentre era intento a rifare i loro letti sentì la vocina preoccupata di Rosina
che lo chiamava dall'altra stanza. (continua …)
[1] Uno, su Dio nessuno ha potere/ Due, le tavole
che portò Mosé dal Monte Sinai/ Tre, le
persone della santissima Trinità.
[2] Quattro, gli Evangelisti: Luca, Marco,
Giovanni e Matteo/ Cinque, le piaghe di nostro Signore Gesù Cristo/ Sei, le
messe che Dio ha celebrato/ Sette, le candele che ardono allegramente dinanzi
alla Vergine Maria/ Otto, i cori degli angeli/ Nove, anime giuste/ Dieci, i
Comandamenti di Dio/ Undici, i raggi del sole/ Dodici, le parole della verità.