di Giuseppe Perricone
Rosina lo osservava
affascinata e pure un pocu scantata. Accortosi di ciò, lo strano ospite le rivolse
un sorriso rassicurante e accattivante allo stesso tempo. La bimba, in quel
modo tranquillizzata, ricambiò il sorriso. Appurato che il suo gesto aveva sortito
l'effetto desiderato, il bambino la invitò con un cenno della mano ad avvicinarglisi,
invito che lei accolse volentieri, infatti scese dal letto e andò a sederglisi
accanto.
- Ciao!
- la salutò il bimbo – Ti scanti di me?
- Ciao!
- ricambiò lei ed eludendo la sua domanda gli chiese: - Cu sì? Chi sei?
- Mi chiamo Angelo. E' da moltissimo tempo
che sono in questa casa e che non vedo altri bambini della mia età. Sai, qui
sto soltanto con dei vecchi che non mi permettono mai di lasciarli. Solo uno é
buono con me, un monaco, Frà Santo Spirito...
- Ma... da dove vieni? - lo interruppe la
bimba e, prima che lui potesse risponderle, continuò – ‘Sti vecchi di cui mi
parli chi sono? E... perché non te ne vogliono fare andare via?
- Aooh! Rosina, miiih primura che hai.
Quante cose che vuoi sapere! E meno male che prima ti scantavi di me! - poi, facendosi
improvvisamente serio in viso, proseguì:- Non lo so... Non lo so se devo rispondere
alle tue domande. Le mie risposte potrebbero preoccuparti più di quanto non lo
fossi già all'inizio del nostro incontro.
La bimba stette qualche attimo a meditare
sulle ultime parole di Angelo, ma subito
la curiosità ebbe il sopravvento sui
suoi timori e riprese a insistere con le sue domande.
Angelo cedette alle pressanti richieste di
lei e, con titubanza, riprese:- Come vuoi... Secondo te, dopo che si muore che
succede?
- Che succede? Ma lo sanno tutti quello
che succede quando si muore! Se si é stati buoni si va in Paradiso, se cattivi
all'inferno e se si é stati buoni ma si é commesso qualche peccato in Purgatorio.
Alla candida risposta di Rosina, un risolino
ironico si disegnò sul viso di Angelo.
- Beh! - continuò questi - Una volta anch'io
la pensavo così. E forse è anche vero, ma io ora, l'unica cosa che so é che di
sicuro io non sono in Paradiso, forse in Purgatorio o all'Inferno, infatti dove
mi trovo non sto affatto bene, in compagnia come sono di quei due vecchiacci.
Per fortuna ogni tanto viene il Frate di cui ti parlavo prima. E' l'unico con
cui mi trovo bene.
- Ma... - s'intromise Rosina - Quando mi
parli di Paradiso, Inferno o Purgatorio?
Che mi vuoi dire? Che significa?
- Significa che io sono... morto o, almeno,
così credo!
Qui Angelo tacque un momento, come a
volere assaporare l'effetto che le sue parole avevano prodotto sulla sua
interlocutrice. Infatti, questa era rimasta a bocca aperta per lo stupore; la
rodeva un dubbio: che la stesse prendendo in giro? Comunque Angelo non le diede
il tempo di reagire e continuò:- L'ultima cosa che ricordo di quando ero ancora
in vita é che mi trovavo nel mio letto gravemente ammalato. Attorno a me c'era
la mamma, papà, la mia sorellina che era sempre stata il bersaglio preferito
delle mie monellerie, ...tu non immagini quanto mi sia mancata in tutto questo
lunghissimo tempo. Vorrei poter tornare indietro per farmi perdonare da lei.
C'era anche un prete e altre persone del vicinato. Poi ricordo di aver avuto un
gran sonno e di essermi come addormentato per risvegliarmi subito dopo in
questo posto dove ormai ho l'impressione di stare da un'eternità. Non so
neanche quanto tempo sia passato da quando sto qui sotto.
Nel dire questo accennò con la mano al pavimento
sotto l'armadio e con tono grave, avvicinando la sua bocca all'orecchio di Rosina,
come a volere evitare che qualcun altro
sentisse quanto stava per dire, aggiunse:- Voglio confidarti un segreto. Qui
sotto c'é... un... tesoro! Ma tu....
A questo punto Angelo fu interrotto come
da un ringhio che sembrava provenire anch'esso da sotto l'armadio.
- Ora devo andare - disse con fare circospetto
e impaurito - Si sono accorti della mia assenza. Ma prima di tornarmene da dove
sono venuto voglio avvisarti. Per favore, qualunque cosa ti propongano rifiuta
sempre. Non ho tempo per dirti di più, ma tu, ti prego, non accettare mai nessuna
delle loro offerte, se mai dovessero fartene...
Non aveva ancora finito di pronunciare le
ultime parole quando, come dal nulla,
alle sue spalle spuntò un vecchio dagli occhi così rossi che sembravano tizzoni
ardenti che sprizzavano scintille. Ma la cosa che più impressionò Rosina fu la
sua espressione torva e malvagia.
Il vecchio, con mossa repentina avvinghiò
le sue braccia attorno al corpo di Angelo e, spingendolo in giù nel pavimento,
ve lo fece sparire come attraverso un buco o una botola apertasi improvvisamente
ai piedi dell'armadio.
Rosina assistette a tutta la scena paralizzata
dall'orrore, senza riuscire a muovere un dito in aiuto di Angelo.
Quando questi scomparve alla sua vista, il vecchio si volse a lei con fare
mellifluo che voleva essere suadente e accattivante ma che, invece, lo faceva
apparire molto più malvagio e perfido di
quanto non sembrasse già.
Il suono che
venne fuori dalla sua bocca era molto più simile al ringhio di una bestia feroce
che alla voce di un essere umano:- Carina, - ringhiò con tono sarcastico - vuoi
venire con me? .... Potrai giocare col tuo amichetto.
- Noo! Lascialo stare! Vai via!.... Ciccio...
Damiano... Papà... Aiuto! - gridò Rosina, che finalmente era riuscita a
sbloccarsi.
A queste invocazioni, il vecchio, con una
risata molto simile al ruggito di una belva, scomparve nel pavimento attraverso
il quale prima aveva spinto Angelo.
Fu a questo punto che accorsero Mastro
Gaspare e i figli.
Da quella volta,
per diverse notti, Rosina si coricò nel letto grande col padre. Poi, lei stessa
una sera insistette per tornare a dormire nella propria stanza, con la segreta
speranza di rivedere Angelo e continuare con lui la conversazione così drammaticamente
interrotta.
Mastro Gaspare tentò di dissuaderla, ma la
tenace insistenza della figlia lo costrinse ad accontentarla.
Per più di
una settimana non capitò più nulla di particolare a parte i normalissimi scricchiolii
prodotti dalle tarme nei mobili, tanto che Rosina cominciò a pensare di avere
soltanto sognato Angelo e tutto il resto. Allo stesso modo presero a pensarla anche
il padre e i fratelli. Ma ecco che una notte, quando tutti ormai avevano quasi
dimenticato l'accaduto, vennero smentiti. Ancora una volta furono svegliati
dalle urla di Rosina.
Da quando
questa aveva ripreso a dormire nella propria stanza, aveva preteso che la
finestra rimanesse completamente chiusa, perché la fioca luce lunare che proveniva
da fuori produceva sulle suppellettili strani giochi d'ombre che le mettevano addosso
una certa apprensione, così che nella cameretta era il buio più pesto, ma
Rosina lo preferiva.
Quando Ciccio
e Damiano, subito svegli, seguiti dal padre si precipitarono nella stanzetta,
Rosina non si sentiva più. Tutto sembrava in ordine... al buio.
Mastro Gaspare pensò che la figlia avesse
avuto ancora un incubo e che si fosse riaddormentata regolarmente. Tranquillizzato,
sempre in silenzio, con la sola pressione delle mani sulle spalle dei due figli
li invitò a tornarsene a letto.
Mentre i due ragazzi ubbidivano, l'uomo si
soffermò ancora per qualche attimo nella stanza e fu così che il suo udito percepì
un flebile lamento proveniente quasi dal centro della cameretta. Tornò subito
indietro e sommessamente chiamò la figlia:
- Rosina...! Rosina...!
Non ottenne alcuna risposta. Si avvicinò allora
al giaciglio della bambina e tastandolo
si rese conto, con sommo sgomento, che era vuoto.
Con apprensione chiamò allora più forte:-
Rosina...! Dove sei...? Rispondi a papà tuo...
L'unica risposta ai suoi appelli era quel
flebile lamento interrotto ora da qualche singhiozzo. Si volse verso la stanza dei
figli maggiori e chiamò:- Ciccio...! Vieni subito qui e porta una candela accesa...
E tu, Damiano vai nello stanzino di Andrea e resta con lui ché se dovesse svegliarsi,
almeno ci sei tu a tenergli compagnia.
Intanto che impartiva queste disposizioni,
spostandosi a tentoni nella stanza, seguitava a cercare la figlia senza mai
smettere di chiamarla. Si diresse verso il punto dal quale pareva avesse origine
il lamento e quando fu quasi al centro della camera inciampò nella sedia che sarebbe
dovuta trovarsi ai piedi del letto. All'urto seguì un grido che sembrava provenire
dal pavimento proprio dove Mastro Gaspare si era fermato.
- Rosina...! Figlia mia! - urlò anche lui
ormai preso dal panico - Dove sei?
- No! Via, andate via! - rispose la bimba
urlando con quanto fiato aveva in gola.
- Sono io, papà tuo! Non c'é nessun altro!
Ciccio comparve sull'uscio; con la
sinistra teneva un candeliere di metallo su cui era infissa una candela accesa
e nella mano destra stringeva un coltello a serramanico. Il ragazzo, spaventato
dalle grida del padre e della sorella in particolare, si era fatto la convinzione
che tutto quel trambusto era provocato da qualcuno introdottosi fraudolentemente
nella stanza di costei. Aveva quindi ritenuto opportuno armarsi per difendere a
qualunque costo le vite dei congiunti ritenuti in mortale pericolo.
- Papà! Chi é... ? Che succede...? Dov'é
questo cornuto che lo voglio ammazzare con le mie mani!!! - gridò.
- Zittuti. - gli gridò il padre - Posa la
candela a terra e vai anche tu nel camerino coi tuoi fratelli ché sento piangere
'u picciriddu ...
Ciccio non accennò minimamente ad ubbidire
al padre, ma, fermo dov'era, prese a guardarsi intorno con circospezione, pronto
a lanciarsi, coltello alla mano, contro qualunque estraneo gli si fosse parato
davanti.
Gaspare gli andò incontro, gli strappò la
candela dalla mano e con uno spintone lo spinse bruscamente fuori. Bastò la
fievole luce della candela perché, finalmente, l'uomo scoprisse con sgomento dove
fosse finita la figlia. Praticamente, questa si trovava imprigionata all'interno
della gabbia formata dalle gambe e dalle traverse della sedia. Gli occhi
spalancati all'inverosimile, quasi fuori dalle orbite, erano fissi in modo innaturale
in un punto indefinito della stanza, la bocca spalancata emetteva ora una
specie di sibilo molto acuto. Aveva il
respiro affannoso e irregolare. Le nocche delle dita erano biancastre per la
forza che la bimba metteva nel serrare le mani attorno agli staggi della sedia.
A quella vista Mastro Gaspare si bloccò
esterrefatto. Temette che la figlia, per lo scanto, avesse perso il senno. Non
sapeva che fare, conscio com'era che in tutto quello che stava capitando alla
sua bambina non c'era niente che potesse essere spiegato in modo razionale. Poi
gli sovvennero alla mente i durici paroli da virità, le dodici
parole della verità.
(continua...)
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