di Maria Rosa Giannalia
la foto proviene da qui
In un condominio signorile e tranquillo nei pressi di Tel Aviv, dal clima ovattato, in cui la vita sembra scorrere senza traumi, tre personaggi, protagonisti di tre racconti differenti legati da un sottilissimo filo narrativo, svelano all’immaginazione del lettore le verità nascoste del loro vissuto.
L’autore,
Eshkol Nevo, attingendo a piene mani alla tradizione letteraria degli autori
israeliani, Grossman, Oz, Yehoshua, tanto per citare i più famosi, costruisce il
suo romanzo giocando con una insistita attenzione agli aspetti psicoanalitici di tutte le figure presenti nelle tre
narrazioni rivisitate però attraverso
uno stile di scrittura più vicino ai grandi romanzieri americani che ai suoi
connazionali.
Il personaggio protagonista di “Primo
piano” è
Arnon, padre e marito e anche fratello di un interlocutore muto cui si
rivolge per tutto il tempo del racconto.
Nella sua narrazione
dei fatti, che vorrebbero essere oggettivi, Arnon si ritrova a parlare di sé in
relazione alla moglie Ayelet e a due anziani vicini di casa, Ruth ed Hermann,
ai quali egli stesso e la moglie affidano frequentemente la propria bambina
Ofri, in un surrogato di babysitteraggio, con soddisfazione di tutti. Fino a
quando non accade IL FATTO che fa esplodere nel protagonista Arnon, angoscia, ossessione,
rabbia a stento repressi, complicanze di
un cattivo rapporto con se stesso.
Arnon è un uomo inconsapevolmente ossessionato dal
sesso che ne condiziona l’immaginario a sua insaputa e , in particolare, della
forma forse più aberrante in cui la pulsione sessuale può manifestarsi in un
uomo maturo apparentemente sano e sicuro di sé: un’ attenzione verso bambine e
adolescenti che si sostanzia, nel primo caso , nell’attribuire alla sua
figlioletta un subìto e ipotetico abuso
sessuale da parte dell’anziano Herman, non comprovato da nessuna analisi e
indagine delle autorità competenti, nel secondo caso nell’accettare le
profferte della giovanissima adolescente quindicenne, nipote dei vicini di casa
Ruth ed Hermann.
Arnon non
sa, molto colpevolmente, sottrarsi ad un rapporto sessuale completo voluto dalla
ragazzina che riesce ad adescare l’uomo con azioni furbesche e maliziose.
In questo
primo episodio l’Es freudiano viene fuori in tutta la sua prepotenza
travolgendo i sensi e la ragione del protagonista che si lascia andare persino a
immaginari piani delittuosi per salvare se stesso di fonte a sè, il suo
rapporto matrimoniale nei confronti della moglie e la sua consolidata vita borghese di fronte
alla società cui appartiene.
In “Secondo piano” una donna, orfana della sua psicologa di fiducia, madre di due
bambini, in assenza totale del marito costantemente in giro per lavoro, consuma
in completa solitudine la sua vita quotidiana tra un dialogo attraverso una
lunga lettera inviata alla sua carissima amica Neta, assente anche lei perché
trasferitasi negli Stati Uniti, con la quale immagina di potere continuare un
dialogo perpetuo con cui alleviare la sua angoscia esistenziale, e liti
notturne con uno, due e forse tre, barbagianni che non si sa se reali o solo immaginati.
La sua vita
è angosciante e il racconto che ne fa all’amica in un crescendo di azioni reali
e fatti narrati, ricchi di excursus che
datano al tempo della reciproca giovinezza, spiazza continuamente il lettore
che viene trasportato in un ottovolante di dialoghi accennati, riportati per
intero, incisi, riprese, in un
guazzabuglio narrativo. La donna, di nome Hani, si attarda a raccontare nella
sua lunghissima lettera, fatti del passato , col gusto di ricordare insieme
all’amica, episodi particolari, ed altri più recenti della sua attuale
quotidianità, in un alternarsi anche qui di piani temporali che si avvicendano
con velocità vertiginosa nella quale il lettore arranca faticosamente per non perdere il bandolo della
matassa ingarbugliata. Anche qui IL
FATTO: il fratello del marito col quale quest’ultimo aveva interrotto tutti i
rapporti, arriva del tutto inatteso a sparigliare il castello di carte piuttosto
traballante della vita della protagonista. Anche in questo episodio, questa
apparizione improvvisa fa esplodere nella donna la consapevolezza dell’inanità
del rapporto col marito, e, nel confronto con un uomo diverso, conforta ancor
più la protagonista nella consapevolezza del
fallimento del suo rapporto
matrimoniale. Il piano narrativo di questo episodio sembra confermare la
dimensione dell’IO freudiano, che si sostanzia nella crisi e nella sua
consapevolezza.
L’ultima
parte, “Terzo piano”, ha come
protagonista una donna , giudice in pensione, che nell’estrema solitudine della
sua vedovanza, ripercorre la sua vita, parlando al marito morto attraverso una
segreteria telefonica a lui appartenuta e ritrovata per caso, e affida alla sua
stessa voce il racconto della quotidianità.
Dvora,
questo è il nome della protagonista, racconta anche lei ad un interlocutore
muto, come la donna e l’uomo delle precedenti parti del romanzo.
In questo
raccontarsi va svelando a se stessa la vera
natura del rapporto con il marito tanto amato e con il figlio, cacciato di casa
dal padre in seguito ad un atto di grave irresponsabilità. Durante questa
affabulazione, la donna mette a fuoco
alcuni episodi della sua vita che esamina da punti di vista diversi, diversi cioè dall’ottica
che , vivo il marito, la portavano a
comportamenti socialmente corretti
soprattutto in linea con lo status suo e del marito stesso. Attraverso
le sue stesse parole Dvora si rivede, come davanti ad uno specchio, ripercorrere
le azioni della sua vita rileggendole in
chiave diversa. Adesso, libera da tutto, lavoro compreso, si può occupare di
ciò che è più in linea col suo carattere, con la sua volizione e con i suoi
desideri più profondi. E in questo percorso ecco comparire IL FATTO. Questa volta
è un incontro con un uomo che non rivoluziona la sua vita ma è soltanto il “mezzo”
attraverso il quale Dvora prende consapevolezza di sé, di ciò che veramente
vuole e delle proprie conseguenti azioni, questa volta scelte e agite in
completa autonomia. Accetta l’amicizia affettuosa dell’uomo, si riconcilia col
proprio figlio in un percorso assai tortuoso e impara ad accettare gli altri
per ciò che sono senza giudicarli attraverso il filtro del proprio Super-io
così come ha fatto per tutta la sua precedente vita.
Mi è parso
che l’autore, in questa sua opera, abbia voluto costruire un’architettura narrativa
estremamente barocca. Le simmetrie inventive adoperate per le tre narrazioni
che vedono alternarsi una figura maschile e due femminili, seguono un percorso
strutturale di base sul quale fare ruotare tutte le variazioni del narrato.
L’uso della
seconda persona, giustificato dalla figura degli interlocutori a cui si
rivolgono tutti e tre i protagonisti dei tre episodi, il registro
colloquiale-familiare che dovrebbe rendere la scrittura semplice e fluida, la
continua sospensione narrativa con variazione di percorso, conducono il lettore all’interno di un labirinto
in cui personaggi, fatti, azioni, pensieri si avviluppano in un ingiustificato
stile narrativo costruito per stupire il lettore nel tentativo, forse, di
coinvolgerlo completamente dentro le storie.
Certo si
nota in Eshkol Nevo una grande capacità affabulatoria che viene padroneggiata
con maestria, ma l’inventio è, a mio
avviso, eccessivamente forzata, con tratti di inverosimiglianza.
C’è un aspetto che mi ha fatto riflettere: ultimata
la lettura del libro, mi è stato difficilissimo ricostruire vicende e ricordare fatti e personaggi. Come se la narrazione, con
il suo andamento vorticoso , tutto cose, ricca di particolari,
Mi sembra
che i molteplici stimoli di cui è impregnato il
romanzo non abbiano una vera giustificazione e che , a volte, siano dei
pretesti per fare procedere le storie, l’ultima delle quali sfocia in una fine
che, tutto sommato, si sostanzia in un “lieto fine” assolutorio e risolutivo che
rende banale lo sforzo costruttivo di un
romanzo il quale, sicuramente, nell’intenzione del suo autore, voleva essere
molto di più di quello che riesce a comunicare al lettore: una sperimentazione
non precisamente ben riuscita.
Nessun commento:
Posta un commento