mercoledì 10 giugno 2020

Osservazioni su “ La signora Lirriper “ di Charles Dickens


di Maria Rosa Giannalia


   Pensare di leggere  questo lungo racconto di Dickens per tranne diletto o edificazione, credo che sia alquanto fuorviante per una lettrice o lettore di oggi, poiché il testo, datato al 1863, anno della sua pubblicazione nella rivista All the year round, aveva tutte le caratteristiche per piacere ad un pubblico ben definito , londinese, vittoriano e tardo romantico, caratteristiche che non tardarono a determinarne il grande successo: i temi e i topoi presenti erano proprio quelli che quel pubblico non solo era in grado di apprezzare , ma soprattutto in cui  rispecchiarsi, almeno in quanto ad aspirazione ideale, visto che la realtà vittoriana di Londra e  forse dell’Inghilterra tutta era di ben altra prosaica caratura.
Il racconto è uno degli ultimi scritti di Dickens ed è un racconto di cornice, vale a dire una narrazione destinata ad accogliere al suo interno altre narrazioni ad opera di altri collaboratori dello stesso autore che dirigeva la rivista succitata nella quale apparve, come detto, nel 1863.    
   La cornice è abbastanza esile: una donna anziana si rivolge ad una interlocutrice muta con la quale intesse un monologo per raccontare la sua esperienza di un lungo segmento di vita che va dalla sua vedovanza improvvisa fino all’atto conclusivo della sua narrazione edificante e ( molto) auto celebrativa.  La signora Lirriper , morto il marito e priva totalmente di mezzi, si inventa imprenditrice, chiede un prestito ad una banca di Londra col patto che restituirà fino all’ultimo centesimo del debito contratto dal marito  con la medesima banca. Debito che onora esercitando ininterrottamente il mestiere di locandiera per quasi quarant’anni. E tutto ciò che vede ed esperisce in questi lunghi anni saranno  materia del suo lungo monologo nei confronti della sua silenziosa amica con la quale, si presume, la protagonista abbia molta familiarità.
   All’interno di questa cornice si inseriscono delle micro-storie che , sempre la protagonista imbastisce sulle persone che transitano nella sua pensione, tra le quali si notano un maggiore Jeremy Jackman  che diverrà il pensionante prediletto della signora Lirriper dal quale quest’ultima si lascerà accompagnare lungo il corso della sua vita coinvolgendolo nell’itinerario educativo dell’orfano di una ragazza sedotta e abbandonata dal suo uomo proprio  nella sua pensione.
   La ragazza morirà dopo poco tempo dal parto, come nei migliori romanzi di appendice del secondo ottocento europeo.
   Descritto così, il racconto non sembrerebbe discostarsi di molto dai numerosi topoi letterari della narrativa sopra citata ma, al contrario, parrebbe rientrare nella norma dei feuilleton tanto in voga tra la borghesia europea dell’ottocento.
  Invece, a ben guardare, il testo in questione riserva parecchie sorprese: prima tra tutte la struttura narrativa dell’opera. Dickens attinge a piene mani dalla scrittura di un suo predecessore del settecento , l’inglese di origine irlandese Laurence Sterne nel suo  Vita e opere di Tristam Shandy, gentiluomo: scrittura brillante, dinamica, ironica e molto molto innovativa nei modi e nei contenuti.
   L’azione emulativa che compie Dickens però, va molto oltre: alla scrittura dissacrante di Sterne egli accosta una materia tutta ottocentesca, un po’ lacrimevole, ma giusto quel tanto che serve per esercitare la sua ironia che trova più ampio spazio laddove egli può descrivere alcuni personaggi minori, uomini e donne , evidenziandone le caratteristiche più “nascoste” del conformismo vittoriano, attento ai buoni sentimenti e ai costumi irreprensibili ma con un occhio particolarmente sensibile al denaro e agli affari, come è nella natura della stessa protagonista signora Lirriper.
   Questa anziana signora, costruita da Dickens, narra in prima persona ed è il modo che evidentemente dà al suo creatore la possibilità di esprimersi in una modalità di estraniamento tutto al femminile. Espediente, questo, che gli consente di esercitare quella forma retorica che gli è più congeniale, vale a dire l’ironia leggera e penetrante nello stesso tempo.
   E’ molto interessante come, proprio in un testo così breve, l’autore sappia allontanarsi da molta parte dei topoi praticati negli altri suoi romanzi a favore, viceversa, di una leggerezza di modi narrativi poco praticati anche nella letteratura a lui contemporanea. In questo continuo flusso di parole al femminile, in questo gusto della chiacchiera, del gossip, la signora Lirriper sembra preconizzare la prosa di Virginia Woolf piuttosto che il flusso di coscienza di Joyce, come viene detto nella prefazione al racconto.
   Degna di nota mi sembra anche l’ottica attraverso la quale la protagonista mette a confronto l’industriosità della gente di Londra con la spensieratezza dei parigini che lei ha modo di conoscere durante un viaggio in Francia per andare a impossessarsi di una inattesa quanto inconsistente eredità. Anche questo un modo elegantemente ironico per sottolineare l’inanità dei francesi.
E questo topos dell’eredità  altro non è che un ulteriore espediente narrativo  che permetterà alla protagonista di autocelebrarsi evidenziando la sua bontà nel concedere il perdono al seduttore della fanciulla che lei aveva preso a cuore , madre del piccolo Jemmy, da lei  amorevolmente allevato. Seduttore che i lettori potranno ritrovare giustamente punito, per la sua orribile colpa, con la  malattia e la povertà. Come il pubblico vittoriano si aspettava che avvenisse per essere rassicurato  e confortato dalla pubblica morale anche se non assolto dai vizi privati.


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