sabato 9 gennaio 2021

La vita davanti a sé Di Romain Gary Ed.Neri Pozza

 Recensione libro di Maria Rosa Giannalia



   Durante la lettura di questo romanzo, non ho potuto fare a meno di inoltrarmi virtualmente per le strade di Belleville, quartiere multietnico di Parigi dove è ambientata la vicenda. E siccome l’ho visitato in uno dei miei viaggi in quella  città, quel quartiere, che attraverso le parole del romanzo,  si è offerto alla mia immaginazione, mi è apparso diverso e  lontano dall’immagine attuale che si squaderna agli occhi di chi ci si rechi oggi, ma ancor più lontano mi sembra essere dalle descrizioni che ne fa Daniel Pennac nel bellissimo suo libro “La fata carabina” e la saga dei Malausséne.

   Il quartiere di Belville, così come ce lo presenta Romain Gary, è un quartiere di poveri immigrati della seconda generazione dall’Africa e da altri paesi ex colonie francesi, dove si consuma la vita di madame Rosà e di Momo i due protagonisti principali del libro.

   La trama del romanzo è semplice: una ex prostituta, ormai vecchia e in disarmo, ospita a casa sua per sbarcare il lunario i figli , anche molto piccoli, di altre prostitute  le quali, piuttosto che affidarli ai brefotrofi statali, preferiscono darli in cura a Madame Rosa perché sanno di poterli riprendere appena sarà loro possibile.

   Ma M.me Rosa è stanca, grassa, vecchia e pure ebrea, vive in un appartamento molto popolare al sesto piano senza ascensore dove da lì a poco non potrà più salire se non con l’aiuto dei suoi vicini di buona volontà.

   Momo in questa strana “famiglia” è il bambino più grande, sa di avere dieci anni, o così le ha detto M.me Rosa, ma quasi alla fine del romanzo il lettore scoprirà che ne aveva quattordici ben sottaciuti dalla stessa Rosa che, affezionatasi moltissimo al ragazzino, vuole tenerlo con sé quanto più possibile. I due si amano rispettivamente di un amore filiale (Momo) e materno ( M.me Rosa),amore che è molto più di un surrogato di quello vero che normalmente esiste tra madre e figlio, perché nato dalla necessità ma scelto consapevolmente. Intorno a questo sentimento che  è il leit-motiv di tutto il romanzo, il suo autore fa girare una serie di personaggi che stanno in relazioni differenti con i due protagonisti.

   Così possiamo vedere Momo che , dopo un inizio di convivenza molto sofferta, si relaziona in modo molto affettuoso col piccolo della comitiva che sorride sempre e con il quasi coetaneo ragazzo ebreo col quale solo apparentemente si scontra ma che, poco per volta, impara ad amare nonostante la diversità di religione. E ancora Hamil il venditore di tappeti che legge, oltre al Corano, anche Victor Hugo nel suo romanzo più avvincente “I Miserabili”; il dottor Katz, medico di fiducia, ebreo, di M.me Rosà, pronto ad intervenire tutte le volte che quest’ultima ha necessità delle sue cure per sé e per i bambini; M.me Lola, una trans simpatica e allegra , pronta ad intervenire anche lei per qualsiasi bisogno di questa strana famiglia. Insomma una vera e propria girandola di personaggi che diventano persone vive attraverso le parole dell’autore.

   E’ una Parigi periferica, minore, lontana dalla luci e dallo sfarzo dei luoghi in cui la letteratura ottocentesca collocava le storie di contesse, conti e marchesi, molto più vicina a quella del realismo di Emile Zola ma calata nella temperie del secondo novecento. E, dicevo, lontana anche dai personaggi di Daniel Pennac molto più scanzonati e improbabili con il loro ottimismo e la vocazione a vivere perennemente di espedienti. Anche questi personaggi che Romain Gary mette in campo vivono di espedienti, ma sono quegli espedienti  tristi che fanno risaltare la miseria , l’infelicità, la sperequazione sociale nella società parigina del secondo novecento dove i bambini, vittime incolpevoli, devono cercare da sé i riferimenti affettivi senza i quali è molto difficile sopravvivere.

   Si leggono così alcuni episodi del romanzo dove si racconta che Momo nello spasmodico desiderio di fare tornare la madre, sporca con i suoi escrementi tutto il pavimento della casa di M.me Rosa, come gli avevano detto che avrebbe dovuto fare se voleva far tornare alla svelta la madre stessa. Episodi, questi, che tramite la potenza dell’ironia fanno entrare il lettore all’interno dei sentimenti e delle emozioni di Momo, come anche di tutti gli altri personaggi.

   Il romanzo ha la potenza di una rappresentazione vivida affidata oltre che alle immagini anche all’architettura della storia vivacizzata dalla presenza di flash back,  alla scelta linguistica e del punto di vista. La narrazione è infatti giocata tutta nell’ottica del punto di vista di Momo, cosa che permette di spaziare su quel mondo narrato con l’occhio di un bambino quasi adolescente che, con la sua visione innocente del mondo, ne svela tutte le nefandezze e il dolore.  Ma questa infanzia dolente non va a rappresentarsi mai con immagini di cupo pessimismo e la denuncia sociale che traspare attraverso le parole e le riflessioni di Momo rimane in bilico tra il dramma e la commedia, come solo i bambini sanno fare.

   Naturalmente questi sono gli effetti dell’ironia  di cui l’autore permea tutto il narrato in un unicuum che non annoia mai il lettore.

   Per concludere questa breve esposizione , mi sembra che questo romanzo ruoti intorno ad un tema fondamentale: l’amore: l’amore come tema principale della vita,  causa e  conseguenza di tutte le vicissitudini narrate, del procedere dei personaggi e della conclusione stessa la quale, pur nella sua macabra rappresentazione, non fa che celebrare la potenza di ogni forma di questo sentimento.


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