sabato 14 dicembre 2013

Cani e padroni e padroni cani




Sarà che, da quando sono in pensione, il tempo non mi possiede più e posso spenderlo come mi pare, sarà che, spesso, mi interrogo sull’utilità  di andare per palestre a recuperare un po’ di quella forma fisica persa e mai compiutamente recuperata, fatto sta che ho preso la decisione di affrancarmi da ogni costrizione temporale che mi vincola ad orari precisi. Basta con questa schiavitù di orologio, mi son detta. Faccio da me come e quando voglio io.
Pertanto, ogni mattina ad orari mai uguali, scendo giù nel parco antistante casa mia e vado a correre. Correre non sarebbe proprio il verbo giusto. Diciamo, camminare velocemente. Questo mi consente di soffermare lo sguardo su piccole porzioni di spazi, su oggetti, su persone che, nella mia prima vita, posseduta dalla fretta ineluttabile del mio lavoro, non esistevano per me.
Considero, questo, un privilegio. Un privilegio che viene dato a chi ha la fortuna- oggi sempre più rara e per questo più preziosa- di potere occupare quella porzione di vita post lavorativa in attività che abbiamo sempre rimandato ad un altro momento e ad un altrove che qualche volta non fanno in tempo  neppure ad arrivare  e rimangono sospesi in un limbo di desideri irrealizzati.
Adesso io posso, mi sono detta. E’ arrivato per me questo tempo.
Ed è così che ogni mattina, a meno che fuori non ci sia il diluvio, vado a camminare.
Prima c’è la preparazione psicologica che faccio su me stessa non senza fatica. Il mio carattere pigro mi imporrebbe di starmene a casa in vestaglia e pantofole a saltellare su internet alla ricerca di notizie del giorno, di politica e di attualità, di curiosità varie, di aprire la mia pagina di facebook e vedere quali post hanno inviato i miei amici e conoscenti, rispondere o, eventualmente, a seconda della pregnanza intellettuale del messaggio, cancellare.
Questo farei se dovessi ascoltare senza sensi di colpa il mio desiderio più immediato. E invece no. In un impeto di masochismo, mi forzo a indossare scarpe da tennis recentemente acquistate con particolare attenzione al colore rigorosamente bianco, retaggio di una mentalità adolescenziale legata ai miei studi in un collegio di suore domenicane che avevano sperimentato solo il bianco e il nero della gamma cromatica, e alla forma del plantare, comodo, efficace a dare la dovuta spinta al piede che dovrà sollevare il peso non particolarmente leggerissimo  del mio corpo. E infine maglietta di cotone e tuta da ginnastica. Così bardata ( e anche un po’ fiera di me per avere avuto la meglio sulla mia innata pigrizia) mi avvio al suddetto parco che, al mattino profuma di erba appena tagliata e di siepi di alloro e rosmarino. Confesso che mi sento riappacificata con me stessa e mi congratulo anche un po’ per la mia determinazione.
In genere nel parco incontro altre persone avanti negli anni, anch’esse affrancate definitivamente da obblighi lavorativi, uomini e donne che con me condividono il piacere della camminata mattutina.
Per raggiungere il portoncino d’ingresso al parco devo percorrere un centinaio di metri di marciapiede perimetrale alla strada, meticolosamente sbreccato e sconnesso - e mai risistemato – nei passi carrabili, dalle ruote delle auto che accedono ai parcheggi dei palazzi e invaso dai cassonetti  della raccolta differenziata dei rifiuti. Ed è in questa breve camminata che si compie la prima di una lunga serie di penalità che devo necessariamente scontare. Infatti le mie scarpe immacolate, senza il benché minimo sospetto da parte mia, a causa della baldanza con la quale mi avvio, si vanno dolcemente a posare su un non so che di morbido, appiccicoso, marroncino che conferisce una macchia di colore a tutto quel biancore  in modo che acquistino una precisa connotazione alla vista e all’odorato. E fin qui, me la cavo con un semplice vaffa generalizzato, per l’assenza e quindi la difficoltà di individuare il vero responsabile dell’obbrobrio. Ovviamente non mi fermo, proseguo nel mio intendimento ed entro nel parco dove, i profumi sopra descritti, vengono un po’, come dire, corretti dal più recente olezzo che mi trascino dietro mio malgrado. Il parco è grande, è contornato da tanti vialetti in cemento più stretti e più larghi per facilitare il transito di tricicli e biciclette dei bambini ai quali in effetti esso è dedicato. In queste ore mattutine, però, il parco non ottempera a questo suo principale compito, perché tutti i bambini sono a scuola. Ci siamo noi, i camminatori indefessi. Ma non siamo soli. Molto più spesso i vialetti si popolano, a ore diversificate, di altro genere di ospiti: i cani e i loro padroni. Questi ultimi portano, come è giusto che sia, i loro amatissimi amici a quattro zampe in giro per il parco, dopo, presumo, rigoroso giro dei marciapiedi di cui ho già parlato, e lì si incontrano tra loro e hanno anche modo di stazionare in piacevoli conversari sulla vita, sui comportamenti, le abitudini, le affettuosità dei loro cagnolini o anche cagnoni a seconda della mole. I padroni dei cani hanno lo stesso  atteggiamento che i genitori hanno per  i loro figli. Cosa encomiabilissima, anche perché questi animali, al contrario dei figli, non criticano, non disubbidiscono, non fanno di mai di testa loro e soprattutto non abbandonano. Sono affettuosi compagni di tutta la vita. Ecco perché un cane è per sempre, come certi diamanti pubblicizzati nelle copertine satinate dei giornali. E soprattutto riempiono la vita. La loro, quella dei padroni cioè. Ed è anche giusto che sia solo la loro ad essere riempita. E invece no. Pretendono, questi padroni, che questi loro affettuosissimi animali  riempiano anche la vita di tutti gli altri. Ed è così che, ad esempio,  il camminatore mattutino, mentre scarpina sudaticcio e col fiatone, si ritrova, quando meno  se lo aspetta, a fare delle zigzagate sull’erba bagnata per schivare tre o quattro cagnetti che hanno deciso di darsi appuntamenti galanti proprio all’incrocio dei vialetti, mentre i loro padroni, nella più totale indifferenza, guardano un punto lontano dell’orizzonte, immersi in profonde riflessioni filosofico-esistenziali o chiacchierano amorevolmente con altri proprietari di cani raccontandosi vicendevolmente l’ultimo episodio particolarmente avvincente della vita del loro cucciolo. Càpita anche che , mentre costoro sono immersi nelle loro profonde meditazioni, il cucciolotto o cagnone che sia, con il guinzaglio ben allentato, depositi il suo naturale lascito all’angolo dei muretti o, peggio, su un vialetto stretto ben ombreggiato dalle siepi che occultano pietosamente il regalo di cui usufruiscono però gli ignari camminatori mattutini, ovviamente e inopportunamente distratti dalla fatica fisica. I padroni sono ben lontani dal prendere in considerazione questa evenienza, perché sanno benissimo a quale obiettivo mirino i loro cani, ma non è cosa che li interessi. Sono scesi per questo dai loro appartamenti, presumo, pulitissimi, per far depositare le merde dei loro cani in qualsiasi altro luogo che non sia di loro proprietà. Quelle merde non li interessano, non sono cosa loro, ma di tutti. Gli altri, naturalmente. Una piccola busta di plastica, una palettina, no, troppo pesante. Intaccherebbe la loro leggerezza e sicuramente li distoglierebbe dalle loro meditazioni filosofiche.
Questa centralità del cane nell’universo vitale di certi padroni prelude senz’altro ad un ribaltamento di ruoli. Fino a provocare l’interrogativo: sono padroni di cani o padroni-cani? La prima  definizione presumerebbe un senso di civiltà quando venissero rispettati i diritti dei cani e i doveri dei padroni, la seconda invece è esplicativa del senso di civiltà reale di questi individui: pari allo zero.  Va da sé a questo punto, poichè tali padroni-cani sono molto più diffusi di quanto si creda, pensare che siano del tutto infondate le proteste nei confronti dei politici che non si curano del bene comune, che fanno solo i loro sporchi interessi, che si adoperano per il loro particolare. Ma perché meravigliarci?  Perché? Sono  il nostro specchio, sono le nostre immagini riflesse. Ci rappresentano a meraviglia. Perché chi non sa raccogliere gli escrementi del proprio cane per non infastidire il prossimo, non è autorizzato a infastidirsi della merda metaforica che gli piove in testa. Tutti i giorni.


 

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