domenica 22 dicembre 2013

Parole in viaggio.Cinque report dell'inserto di La Repubblica del 13 dicembre 2013

L'inserto di La Repubblica di venerdì 20 dicembre 2013 propone cinque resoconti di viaggio di cinque scrittrici: Concita De Gregorio, Claudia de Lillo (Elasti), Clara Sereni, Paola Soriga e Chiara Valerio. Cinque resoconti-racconti che vale la pena di leggere. Ognuna di queste scrittrici racconta, a suo modo, l'incontro con una donna africana, ciascuna  così distante dal nostro mondo occidentale che viaggia su altri tracciati, ma pure così vicina nelle speranze di una possibilità di sperimentarsi come donna nuova e diversa, ma soprattutto in grado di progettare il proprio futuro.
Le cinque scrittrici riescono ad essere coinvolgenti nel loro modo di rivolgersi e di ascoltare queste donne dalle quali sembrano avere appreso, loro così affermate nel loro lavoro, così realizzate come professioniste, così inserite nel loro mondo affettivo e amicale, un  nuovo pensiero al femminile. E così, ad esempio, Concita De Gregorio fa parlare direttamente Maiuma che narra in prima persona la fatica, il dolore, il sacrificio di una vita spesa per la sua famiglia senza un ritorno affettivo, ma che, scacciata dal marito perché vecchia e malata, ritrova nella danza una nuova forma di felicità e nel prendersi cura di due orfanelli abbandonati, una maternità più grande e più appagante.
Claudia De Lillo invece, con il suo stile tutto dialogato e ironico narra dell'incontro con Claire, una donna africana che non esiteremmo col nostro linguaggio, a definire emancipata, e della quale  la de Lillo dice guarda dritto negli occhi, non chiede ma ordina, non conversa ma istruisce. Se fossimo in Italia la troverei detestabile, ma siamo in Uganda e di donne così non se ne trovano spesso e quindi, dice, diventa il suo supereroe. Questa donna la guiderà ad un ricevimento in cui incontra Esther Madudu, famosa ostetrica ugandese candidata al premio Nobel per la pace  nel 2015, la quale rappresenta l'impegno per  salvare 200.000 vittime annue della gravidanza nell'Africa Sub Sahariana. Il racconto si snoda leggero e divertente pur nelle immagini di un'Africa piena di problemi non risolti, affidati alla volontà determinata di queste donne.
Clara Sereni racconta di Shinaz Alice, infermiera, che dopo un soggiorno di quattro anni  a New York, dove ha seguito il marito militare,  torna in Africa dove entra a far parte di un progetto chiamato Malkia e attraverso il lavoro che svolge, affrancandosi dal bisogno economico,  potrà permettersi di fare gratuitamente l'avvocato dei diritti civili. 
Paola Soriga ci parla di Fatuma, una giovane donna Etiope che studia medicina perché vuol fare l'ostetrica, perché vuole prendersi cura delle donne che per cause, anche banali, muoiono di parto, come  sua sorella più giovane che è morta insieme al suo bambino. Si sente che per queste donne la maternità è il cardine intorno al quale girano le vite di tutte e sembra quasi che solo governando i meccanismi del dare la vita e di aiutare a dare la vita, si possano affrancare dalla sofferenza e dalla subalternità ai loro maschi, supremi detentori del potere sulle donne.
Particolarmente avvincente è il racconto di Chiara Valerio che descrive un ospedale pieno di partorienti dove la vita che nasce ha il sapore lieve e profumato della stessa terra d'Africa e i nuovi nati  sono come frutti prodotti da questa terra rigogliosa che non conosce arresto nel processo della fertilità umana. Bellissime le descrizioni dei bambini appena partoriti e avvolti come in un baco dalla stoffa colorata o , con una felicissima similitudine, stretti come involtini di riso in una foglia di fico. In questo ospedale tutto è ridotto all'essenzialità e anche tra la vita e la morte  non c'è nessuna barriera e nessuna diversità Che la morte è anche vita, dice la Valerio, lo si può constatare della serenità con cui l'ostetrica risponde alla domanda della protagonista che chiede il perché tengano il bambino morto accanto a quello vivo: ma perché è appena nato, ma è nato morto. E poi aggiunge una sua riflessione: "morto" è l'aggettivo di una cosa viva.
Da questi cinque racconti emerge l'immagine di un'Africa al femminile, dove si comprende perché è alle donne che verrà affidato il futuro di questo immenso continente. Un progresso che potrà avvenire solo al femminile. Plurale.


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