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Apprendere ai tempi di internet: una
sfida?
Che l’apprendimento sia ormai per buona
parte sganciato dai luoghi istituzionali di riferimento,
imprescindibili per la mia generazione , è un fatto assodato. Non si fa
che ripetere questo concetto ad ogni occasione ufficiale e no, nei libri
dedicati alla formazione dei docenti come anche nelle trasmissioni televisive ,
nei giornali divulgativi e in quelli di massa, perfino nei rotocalchi.
La scuola ha preso atto di ciò già da
molto tempo, tanto è vero che quelle che fino a venti anni fa, nelle riviste
specializzate, erano indicate con l’espressione nuove tecnologie informatiche ora sono citate molto più
semplicemente come tecnologie. L’uso di queste tecnologie, entrato
come prassi assodata nella nostra vita quotidiana e nel nostro lavoro, è una di
quelle cose che molti di noi non avrebbero mai immaginato di potere usare
in un passato anche molto recente.
Oggi , pensare di farne a meno, è una
possibilità che non sfiora la mente di nessuno: comunichiamo, lavoriamo, ci
divertiamo, viaggiamo, ci incontriamo, apprendiamo con internet. E se qualche
volta , per un guasto improvviso del nostro pc o del nostro cellulare, siamo
costretti a farne a meno, ci sentiamo sperduti e stranieri nello stesso mondo
di cui poco prima eravamo parte integrante.
E’ dunque conseguente che, massimamente
nell’ambito dell’apprendimento scolastico, di internet non si possa più fare a
meno.
Tanta letteratura esistente in merito, ci
dice come muoverci con queste tecnologie, come struttuare lezioni e Unità di
apprendimento, come rendere accattivante e partecipativa una lezione con la
LIM, come rendere gli studenti attori principali del loro stesso apprendimento.
Chi di noi docenti ha fatto
l’esperienza di strutturare la propria attività didattica affidandone una parte
o tutta alla costruzione collettiva dell’apprendimento da parte degli studenti
nei laboratori informatici, sa , per esperienza, quanto tempo ci vuole perché
lo studente possa rendersi conto di quali sono i suoi obiettivi, di come li
deve perseguire e in che modo deve accedere alla rete per raccogliere, tra
tutte le informazioni disponibili, quelle funzionali al proprio compito.
Fino a dieci anni fa, si parlava di
Webquest, in cui , oltre alle indicazioni di carattere contenutistico, venivano
forniti anche le procedure da seguire per, eventualmente, risolvere un compito
o fare una ricerca (per una idea in merito rimando al sito: http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/webquest.htm).
Prima ancora che introdurre dei modelli di
ricerca e affidarne l’utilizzo agli studenti, credo vadano fatte alcune
considerazioni : siamo proprio sicuri che lo studente sappia cercare e
discernere nella rete ciò che gli serve? E tra tutte le informazioni che gli
servono, siamo sicuri che egli abbia la capacità di reperire ciò che è più
funzionale e scartare ciò che non lo è affatto? O ciò che sembra funzionale, ma
che poi consente solo di perdersi in un eccesso di informazioni che sembrano
tutte importanti?
Oggi l’insegnante è gravato da un compito
di docenza ben più grave di quello di un suo collega di venti o trenta anni fa.
L’accesso facilitato alle informazioni può permettere, a chi non ha
strumenti adeguati , di perdersi nei labirinti della rete.
Il concetto stesso di “apprendimento” ,una
volta affidato alla conoscenza dei contenuti e alla competenza del loro uso per
elaborare una personale cultura, è stato completamente rivoluzionato
dall’introduzione del Web come imprescindibile strumento di studio.
Allo studente che si accosta ad un
compito, non viene più richiesta una “conoscenza semplice” e una competenza
circoscritta, per il fatto che entrambe le cose non sono efficaci né per
elaborare una conoscenza in breve tempo, ad es. nell’arco di un
quadrimestre scolastico, né in tempi lunghi, ad es. alla fine del corso
degli studi intrapresi.
E dunque , cosa si richiede allo studente?
Se il suo obiettivo è la conoscenza delle attività svolte durante il corso
dell’anno, finalizzata al superamento dell’esame di stato o al passaggio alla
classe successiva, il successo conseguito può essere anche fallimentare
ai fini di ciò che servirà, allo stesso studente, una volta completati gli
studi, per la ricerca di un’attività lavorativa.
Nella nostra società, infatti, quasi mai
avviene ciò che avveniva fino a quaranta o anche trent’anni fa: svolgere effettivamente
un lavoro in linea con il proprio corso di studi.
I giovani oggi si devono inventare il
lavoro, e anche la semplice ricerca richiede duttilità, capacità di individuare
tra le tante strade percorribili, ancorché lontane dalla propria
specializzazione, quella che potrà permettere di capire quali potranno
essere gli sviluppi futuri in linea con i propri interessi, con ciò che si sa fare,
con ciò che si potrebbe imparare ancora a fare, con la propria
creatività. In altre parole: la lungimiranza
e la pianificazione. Quelle capacità che fanno sì che un giovane possa
intravedere, in mezzo ai labirinti caotici delle attività possibili, frammentate
e complesse del presente, la propria attività futura, in modo che questa possa
veramente essere in linea non solo con le aspettative, ma soprattutto con le
proprie capacità.
Credo che questa capacità debba essere
appresa a scuola. Anzi, credo che questa sia la conoscenza principale che serve
ad uno studente, verso la quale dovrebbe essere indirizzato il processo
di insegnamento dei docenti.
Sapere scegliere tra i labirinti
informatici, le informazioni, poche e circoscritte, ma mirate a ciò che serve
veramente, è questa una competenza a cui dovrebbe essere orientato ogni
insegnamento disciplinare. In questo senso oggi è molto più complesso il
mestiere del docente, poiché quest’ultimo fa fatica ad abbandonare i paradigmi
appresi nella lunga tradizione didattica del nostro paese. I quali, in
modo pervicace ed obsoleto, vengono posti in essere continuamente dalle nostre
istituzioni, che, se da una parte propongono nuovi orientamenti
curricolari, dall’altra fanno fatica ad abbandonare il consueto, il
tradizionale, blandendo in qualche modo il docente e confortandolo nelle sue
metodologie, anziché sollecitarlo verso nuove visioni didattiche. Le quali,
sono probabilmente sì meno rassicuranti ma , tuttavia, necessitati dai
tempi.
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